Il Cerchio e la Spada - Lettura de "I Sette Samurai" di Kurosawa Akira


Il Cerchio e la SpadaIndice:

«I sette samurai»: dati filmografici e sinossi

Premessa

1. La dialettica di uchi (dentro) e soto (fuori)

1.1 Il cerchio, la linea

1.2 Tanin, Giri e Ninjô

1.3 La mediazione

2. Découpage e altro

2.1 La logica dei raccordi

2.2 La funzione drammatica del montaggio

2.3 Di sequenza in sequenza

2.4 Scarti?

3. Intreccio e sottointrecci

3.1 Il dolore segreto di Rikichi

3.2 La paura di un padre contadino

3.3 La storia d’amore di Shino e Katsushirô

3.4 Gisaku, Mosuke e il vecchio mulino

3.5 La falsa identità di Kikuchiyo

4. La logica degli sguardi

4.1 Lo sguardo di chi sa

4.2 Lo sguardo di chi ammira e impara

4.3 Lo sguardo di chi desidera

4.4 Gli altri sguardi

5. (E)motion picture: i principi del dinamismo

6. Bushidô: la via del samurai

6.1 La coscienza della fine di un’epoca

6.2 Portare sempre con sé il proprio zen

6.3 Il maestro, l’allievo

6.4 Nascondersi dietro una foglia

6.5 La spada è l’anima dei samurai

6.6 Liberarsi da ogni passione

Bibliografia

______________

Dopo 14 anni torna alle stampe questo testo abbastanza fondamentale per chi già conosce il classico del maestro e sicuramente un incentivo a recuperarlo per chi ancora non avesse avuto l’assoluto piacere di godere di questa grande tessera di storia del cinema. Analisi, percorsi, interpretazioni, tecnica, colti con rigore e pertinenza, guadando quel torrente di immagini che porta il nome de I Sette Samurai.

Attraverso un pugno di saggi, di volta in volta il film viene penetrato nei multipli, sfaccettati strati, tentando di restituire –prima diviso e analizzato e poi rimontato- l’interezza del classico.

Ci si muove tra tecnica, composizione, simboli, storia, metafore riuscendo a donare una visione d’insieme dell’opera di rara intensità. Un testo sicuramente complesso ma soddisfacente per lo studioso che intende abbandonarsi incondizionatamente al testo filmico con delle chiavi di lettura pertinenti e in parte inedite.

Sicuramente un testo consigliato visto il suo rigore e la innegabile competenza (e passione) che emana.

______________

Note di produzione:

Perché «il cerchio»?

Perché «simbolo ideale di un gruppo che si raccoglie intorno a un centro, di una comunità che stabilisce delle ideali regole di comportamento e relazione fra i propri membri. Quando, in I sette samurai, i banditi giungono sulla collina che domina il villaggio, un’inquadratura dall’alto ci mostra le sue case disposte in circolo. Sin dalla prima comparsa lo spazio dei contadini ci appare attraverso la figura del  cerchio...».

Perché «la spada»?

Perché «“la spada è veramente l’anima del samurai: egli la porta con sé al solo scopo di preservare la propria integrità. È un perenne monito per l’uomo che governa gli altri uomini e cerca, in tal modo, di seguire la Via della Vita”.  Sono queste le parole che si sente rivolgere il leggendario Miyamoto Musashi quando incontra Zushino Kosuke, l’artigiano pulitore di spade che lavora in una bottega sulla cui insegna è scritto: “Qui si lucidano e rimettono a nuovo le anime”...».

Scrive Dario Tomasi:

I sette samurai racconta la storia di un gruppo di guerrieri che decide di aiutare una comunità contadina a difendersi dall’assalto di una banda di briganti. A quest’intreccio dominante, tuttavia, il film ne affianca altri che abbiamo denominato come sottointrecci. Già Bazin notava l’ingegnosità diabolica della struttura del racconto del film, dovuta «all’armonia tra la semplicità della sua linea generale e la ricchezza dei particolari che a poco a poco gli conferisce spessore». [...] Le storie individuali di Rikichi, Kikuchiyo, Manzô, Shino, Katsushirô, Gisaku e Mosuke non sono infatti parti a sé staccate dall’ordito generale dell’opera, ma, al contrario, si saldano strettamente a essa modellandone i due temi principali: quello del rapporto fra le classi dei contadini e dei guerrieri e quello della relazione fra il singolo e la comunità.

E ricorda:

«Quando, nel 1953, Kurosawa gira I sette samurai è ormai un regista di grande fama. Con Rashômon, due anni prima, aveva inaspettatamente vinto il Leone d’oro alla Mostra di Venezia e l’Oscar per il miglior film straniero. E tutto ciò grazie a un film che la casa cinematografica che lo aveva prodotto, la Daiei, pensava poco adatto ai gusti occidentali.

La lavorazione de I sette samurai avviene tra mille difficoltà, le riprese si protraggono molto più del previsto e il budget cresce a dismisura. Kurosawa riesce a ottenere altro denaro e a portare a termine l’impresa anche grazie al prestigio ottenuto con il successo di Rashômon: non è facile dire di no al regista che con un suo film ha aperto al cinema giapponese le porte dell’Occidente. I produttori fanno buon viso a cattivo gioco. Ma poi si vendicheranno. La versione integrale del film, quella di duecento minuti, viene distribuita nel 1954 solo nelle maggiori città giapponesi. Nelle seconde e terze visioni passa invece una copia ridotta. Il gioco al massacro continua. Una versione di 160 minuti viene preparata per l’esportazione. Un altro montaggio è approntato per Venezia.

La versione americana subisce ulteriori tagli da parte della RKO. La versione tedesca è anch’essa un rimaneggiamento della seconda edizione giapponese, ma con meno danni di quella americana. Le copie che circolano in quegli anni non danno così che una pallida idea di quello che era il film nella sua edizione originale. A stento gli spettatori riescono a contare i sette samurai e, quel che è peggio, la funzione centrale dei contadini finisce quasi con lo scomparire. Dovremo aspettare gli anni ’80 perché l’edizione integrale si possa finalmente vedere in Occidente. La televisione italiana la trasmetterà nel 1985. In Giappone si dovrà attendere addirittura il 1991, quando la Tôhô autorizzerà il Tokyo Film Festival a proiettarne una copia a 37 anni dalla sua prima uscita.»

Collegandolo al (pur incomparabile) remake in chiave western I magnifici sette (1960, di John Sturges), I sette samurai rappresenta uno dei testi più affascinanti della storia dei rapporti fra l’arte occidentale e quella orientale nel corso del XX secolo, in quanto film di eccezionale complessità e bellezza, un modello epico e struggente di ispirazione e riferimento.

L’AUTORE:

Dario Tomasi insegna Storia del cinema presso l’Università degli Studi di Torino - Facoltà di Lettere e Filosofia. Studioso di cinema orientale, ha pubblicato diversi libri sia sul cinema del passato (Ozu, Mizoguchi, la Nouvelle Vague giapponese), sia su quello contemporaneo (Il cinema giapponese oggi. Tradizione e innovazione; Anime perdute: il cinema di Miike Takashi). È autore, inoltre, di alcuni importanti libri sul linguaggio, lo stile e la messinscena filmica.