009 Re: Cyborg

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Nel 1964 sulle pagine di Weekly Shōnen King esordiva il nuovo lavoro del re del manga Shiotaro Ishinomori, Cyborg 009. Nasceva un po’ così, opera discontinua, quasi da sembrare improvvisata come tanti classici di tanti relativi maestri, che si muoveva per accumulo e giustapposizione di idee, per lo più geniali, ma senza una visione d’insieme dietro apparente. Molti erano i lavori che venivano prodotti con foga in questa maniera; alcuni si interrompevano, altri giungevano alla fine stancamente sovvertendo l’assunto di partenza (v. Dororo, ad esempio), altri avanzavano in maniera episodica generando rimbalzi intramediali (sono numerose le serie tv tokusatsu generate dai manga di Ishinomori, ad esempio) altri proseguivano nei decenni articolandosi nel tempo, limandosi, perfezionandosi, raggiungendo negli anni lo stato di classico e di opera immortale. Cyborg 009 è uno di questi. Serializzato in numerosi magazine, per quasi vent’anni, trasformato in film e serie animate, radio drammi, giochi, fino al 2012 in cui viene annunciato un nuovo film prodotto nientemeno che dalla Production I.G. (Patlabor, Ghost in the Shell, The End of Evangelion, Blood: The Last Vampire, tra gli altri).

Nell’anno in cui Toyoda ci regala un intimo manuale del giovane bombarolo con il suo ottimo e sovversivo Monsters Club, ci troviamo di nuovo in territori simili ma con un contesto internazionale ben più tellurico. I grattacieli del mondo iniziano ad essere vittime di attacchi terroristici; uomini bomba si fanno esplodere radendo al suolo gli edifici. Al contempo missili sparati da sottomarini americani puntano palazzi giapponesi e le multinazionali delle armi israeliane premono per l’instabilità mondiale in collaborazione con gli USA, paese che ha subito il primo attacco. Intanto viene rinvenuto lo scheletro fossile di un angelo, evento apparentemente estraneo agli attentati non fosse altro che coloro che hanno “commesso” la scoperta archeologica hanno udito le stesse “voci mentali” che dichiarano di aver avvertito tutti gli attentatori. In questo contesto apocalittico si inseriscono le vicende dei 9 cyborg che devono riunirsi di nuovo per una missione il cui fine ultimo è la salvezza della terra.

009 Re: Cyborg è probabilmente il colossal più anticonvenzionale degli ultimi anni; nulla tenta per accattivarsi né un pubblico generico né tantomeno quello dei fans della franchise. Da una parte sprofonda il film in un futuro molto presente, lucido e polemico specchio di una contemporaneità in cui i giochi di potere e le multinazionali gestiscono i destini del globo per fini personali e non sempre di immediata comprensione e in cui gli Stati Uniti sono tutt’altro che gli eroi buoni senza macchia che Hollywood ha imposto per un secolo agli spettatori. Dall’altra tutti i personaggi, seppur riconoscibili, subiscono un raffinato restyling (ed è noto come i fans maldigeriscano i restyling, specie in Giappone). Al contempo anche a livello narrativo il film è anomalo; molti (buoni) dialoghi, poca azione, e quasi assente compresenza di tutti e 9 i cyborg nella stessa sequenza (Jet lavora per gli USA, altri, due a due, sono dislocati in diverse parti del mondo). (Fanta)politica, terrorismo, azione, e un contesto biblico e apocalittico in cui le torri di Babele sono abbattute per portare ad un finale idilliaco in cui il “paradiso” non è altro che la nostra Venezia, dopo che il film aveva toccato indicativamente tutti i grandi paesi. Non un messaggio così inoffensivo, quindi, quello che in sunto giustifica gli attentati dell’undici settembre come un volere di Dio.
Quello che avviene intorno all’altalenante substrato narrativo è però grande cinema; il film non è altro che una giustapposizione di sequenze straordinarie, di continui tocchi di regia sommessi, di eleganza formale inusitata e di fondali impressionanti. E’ come se tutto l’accessorio spettacolare, il digitale, l’azione, la franchise non siano altro che al servizio di un pacato e immenso blocco di raffinatissimo grande cinema. Il tutto fasciato da una perfetta colonna sonora creata da Kenji Kawai che fa vibrare ogni nota producendo finalmente una nuova partitura originale e viva, dopo una serie di prove un po’ tutte uguali che lo stavano portando verso la deriva della ripetitività e del manierismo. Tutto il contrario del classico action all’americana, in un film ricchissimo ma al contempo sempre sotto controllo, colto, crepuscolare, profondamente intelligente. Non un susseguirsi aritmico di macroeventi in crescendo, ma una concatenazione elegante dotata di rodato respiro di narrazioni controllate. Tutto fine a sé stesso, tutto lontano da convenzioni, comunicazione diretta narrativa, spettacolarità; sembra quasi che il fine ultimo sia una maestosa ricerca nella messa in scena. Inutile prendere atto che si è di nuovo settato uno standard qualitativo per l’animazione “matura”. Da godere in sala, senza dubbio.