4bia

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4biaSpesso, accadono cose mistiche con i film ad episodi girati da più registi, in quanto raramente se ne vede uno totalmente soddisfacente nella sua interezza. Possiamo prendere d’esempio il giapponese Ten Nights of Dreams, che sulla carta prometteva praticamente di essere un capolavoro, in quanto sostenuto da autori del calibro di Akio Jissoji, Takashi Shimizu, Nobuhiro Yamashita, Kon Ichikawa e altri talenti del cinema nipponico, prima di rivelarsi un buco nell’acqua, quasi come se i registi si fossero messi in gara per girare l’episodio peggiore. Ora, perché degli autori che presi singolarmente sono interessanti / bravi / lucidissimi /a volte addirittura rivoluzionari, finiscono invece per fare spazzatura se uniti sotto un unico progetto collettivo? Appunto: misticismo. Cose che non ci è concesso sapere, e di cui rimarremo sempre all’oscuro.

Anche 4bia, questa antologia d’horror tailandese, prometteva di essere una gemma: abbiamo i due autori di Shutter, quello di Body, ma soprattutto, Yongyoot Thongkongtoon, la mente e le mani dietro opere quali The Iron Ladies e Metrosexual. Non a caso, se in questa raccolta c’è qualcosa di micro-salvabile, è proprio il suo frammento, Happiness, praticamente una lezione di cinema in miniatura su come gestire la suspense, alquanto paradossale se si pensa che sia l’unico regista tra i 4 a non avere un passato come creatore di horror, ma evidentemente, è proprio vero che è girando commedie (soprattutto: commedie demenziali) che si apprende ad avere il giusto controllo del tempo filmico. Happiness, nel suo mostrarci questa giovane donna costretta a rimanere in casa causa rottura alla gamba, gioca tutto il fattore spavento esattamente nella paranoia e nell’ansia della situazione: rimanere immobili in una stanza da sola. Seguono una serie di cliché tipici del genere: telefonate improvvise, sms, luci che si spengono, rumori molesti ed inaspettati, il tutto gestito dal regista nel modo più accademico possibile, e quindi, funzionale, nel senso classico del termine. Yongyoot sa il tempo che ha a disposizione, e senza la minima pretesa colpisce il segno proprio con la sua semplicità, come a dimostrare che il suscitare horror, spavento e attacchi d’aggressione emotiva, è, ancora, il minimalismo.

Paween Purikitpanya fa invece la cosa opposta nel suo episodio Tit for Tat, e d’altronde, ha già dimostrato col precedente Body di essere un particolare amante della Cgi, degli effetti speciali, e di ogni sorta di virtuosismo si possa fare con macchina da presa e montaggio. Se però in Body ha avuto la possibilità di dilatare le atmosfere e di giocare coi twist della sceneggiatura, stavolta, in un frammento di soli 30 minuti, fa la cosa peggiore che si possa fare in un film: girarlo come fosse una puntata di CSI, il tutto velocizzato (quasi come fosse in perenne fast forward) per stare dentro i tempi richiesti: il risultato è la cosa più cacovisiva mai vista sugli schermi negl’ultimi anni, un totale fastidio agli occhi per la difficoltà di seguire non solo la narrazione (che eppure, è semplice e riassumibile in 2 righe), ma proprio la successione delle immagini, con i suoi improvvisi (ed insensati) zoom, le inquadrature che puntano nel focalizzare sui dettagli più inutili e assurdi (giusto perché probabilmente, “fa figo e così auteur”) e un montatore che si sente obbligato a tagliare ogni 2 secondi. Qua siamo oltre il videoclipparo, perché a perdersi è esattamente la prima qualità richiesta nei videoclip, ovvero il ritmo, senza contare che abusare della Cgi anche nelle cose più futili (ma anche qui Body ha anticipato i peggiori presagi: vi ricordate il gattino in cgi? Dico, il gattino!!!) porta irrimediabilmente nel ridicolo.

A terminare la maratona sono i due episodi firmati Parkpoom Wongpoom & Banjong Pisanthanakun, che probabilmente hanno capito fin dal principio come sarebbe finito con questo 4bia, e così, invece d’impegnarsi nel creare qualcosa di nuovo, si limitano a due episodi sketch auto-citazionisti, facendosi auto-pubblicità per Shutter (d’altronde, in tempi di crisi mondiale..) e girando due episodi divertissement che certo, hanno il pregio di non prendersi mai sul serio e di essere persino scorrevoli (soprattutto dopo la difficoltà nel subire il secondo Tit for Tat), ma anche, ed è forse la cosa peggiore, inutili.

Nel dubbio e nella nostra perplessità riguardo i film collettivi, dunque, non ci rimane altro che ri-confermare una perla di saggezza vecchia quanto il mondo: meglio soli che mal accompagnati.