AB-Normal Beauty

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AB-Normal BeautyAb-Normal Beauty è un’avventura in solitario di Oxide Pang (il fratello, Danny produce) la metà artistica dei Pang Bothers, esponenti di punta della porzione più patinata e estetizzante del new horror asiatico, responsabili, tra l’altro, della saga di The Eye. Se la tematica di fondo è poco interessante, lo sviluppo apportato dal regista è assolutamente intrigante. Certo, va ammesso che il linguaggio utilizzato è fin troppo spesso quello proprio della pubblicità televisiva con un utilizzo accorto e strategico dei cromatismi e una post-produzione fin troppo interventista e “à la page”.
Ma il film è molto meno superficiale di quanto possa sembrare; infatti ci troviamo di fronte ad un perfetto proseguo di un’idea di cinema già inaugurata da The Eye, una teoria assolutamente interessante sullo sguardo e una riflessione sulla superficialità dello stesso e sulla parzialità della visione. Certo, in The Eye, il trapianto che portava ad un nuovo stadio di percezione era un livello di analisi fin tropo banale, ma qui si raggiunge un substrato superiore di approfondimento affatto leggero. Dal soggetto ci si potrebbe aspettare l’ennesima variazione alla Project Zero, una sorta di Shutter ante-litteram; invece anziché mettere in scena fantasmi più o meno reali (ma c’è spazio anche per quelli, nel trauma della protagonista e nei fantasmi morali che albergano nel profondo della propria psiche; alibi? Motivazione narrativa? Poco importa) il film indaga altrove invertendo il terrore degli altri per far emergere quello personale. Come poco importa la banalissima e forzata risoluzione finale sul “chi è chi”. La rivelazione –orribile e affrettata- è praticamente inutile, il criminale poteva essere chiunque ed è inutile il palesarsi della sua identità, visto che siamo ben lontani da un thriller argentiano perché l’evento possa avere un minimo interesse narrativo (se non per un pubblico occidentale sbadato che pretende sempre lo “spiegone”). 
I primi minuti del film, straordinari, sono quelli che meglio illustrano questa teoria dello sguardo. In scena le due protagoniste in cerca dello scatto pregno di elevata composizione e interesse artistico, esplorano la città e il mondo si plasma a loro immagine o meglio illustra come l’occhio dell’artista possegga una gamma di possibilità interpretative maggiori rispetto alla persona comune. Su questa riflessione il regista riesce così a sbizzarrirsi con composizioni del quadro solenni, complesse e variazioni cromatiche azzardate. Ecco che un’architettura assume una potenza evocativa superiore alla media, un condominio si tinge di rosa e i colori si annullano o fondono seguendo un’idea tutta mentale della percezione visiva. La riflessione sullo sguardo e il suo potere è particolarmente vivace all’interno del new horror asiatico, si pensi anche alla straordinaria potenza voyeuristica contenuta nel videogioco Silent Hill 4, dove poco importa cosa accade nella parte esplorativa del gioco in sé; la sezione realmente interessante è quella in cui lo sguardo del “giocatore” si fonde con quello del protagonista possedendo immense capacità di visione/spia, dalle finestre, attraverso buchi sul muro (nell’appartamento attiguo vive una prosperosa e affascinante fanciulla) fino a tutta la visita, nella dimensione parallela, delle stanze di un enorme condominio piene di tracce della vita degli inquilini; ecco quindi che scopriamo giocattoli, collezioni di vinili, riviste pornografiche, sbirciando in modo invasivo nella vita altrui. Il potere quindi e le possibilità della visione raffinata. Uno sguardo dalla pregnanza sessuale e defloratrice.
Il proseguo della storia è affascinante ma nettamente più banale anche se sempre accompagnato da una regia all’altezza che può talvolta infastidire a causa di una post produzione eccessiva e vistosa.
La ragazza, una perfetta e virginea Race Wong che regala il suo corpo ad un ruolo in cui si cala con una partecipazione esemplare, cerca la perfezione fotografica e la troverà nel ritratto dell’istante della morte, che trova suo malgrado a dovere affrontare capitando nel luogo di un incidente mortale. Da quel momento è una continua discesa nel macabro e immorale, fino a che i gusti estetici della ragazza attireranno le mire di uno psicopatico particolarmente pittoresco.
Il film possiede moltissimi ottimi istanti e alcuni picchi di alto cinema; assolutamente magistrale è la sequenza in cui la ragazza scavalca la balaustra di un terrazzo di un palazzone e gioca in bilico ad assaporare l’emozione di un possibile suicidio, come è gestito in maniera sublime il primo scatto che confronta la ragazza con la morte e risulta quasi insostenibile il confronto finale con il maniaco.
 Tutto sommato il film resta un’opera minore come accade spesso ai Pang Brothers, una perfetta somma di ottimi attimi di cinema persi su un tappeto narrativo a tratti semplice e fin troppo banale.