Blues Harp

Voto dell'autore: 4/5

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Blues HarpChissà perchè quando capita di segnalare i lavori migliori di Miike questo Blues Harp viene quasi sempre dimenticato. Eppure non sarebbe affatto azzardato considerare questo film come una delle vette più alte mai raggiunte dal regista giapponese, un intenso dramma gangsteristico supportato da una robusta sceneggiatura – in generale, uno dei punti più deboli del corpus filmico miikiano – firmata a quattro mani da Matsuo Toshihiko e Morioka Toshiyuki (quest'ultimo già alle prese con lo script di Fudoh: the New Generation ) che accantona parzialmente tutti quegli orpelli sanguinolenti grazie ai (o a causa dei) quali Miike ha cominciato a farsi conoscere anche al di fuori del suo paese. Blues Harp rivolge particolare attenzione ai personaggi – in particolare ai due protagonisti Kenji e Chuji – che se da un lato incarnano alla perfezione la tipica figura dell'outcast miikiano, dall'altro si distinguono per alcuni aspetti peculiari. Nella maggior parte dei film del regista giapponese questi rivestono lo status di reietti che si pongono ai margini della società, a causa delle loro diversità culturali, fisiche o mentali, e che tendono ad organizzarsi in un gruppo/famiglia alla ricerca della strada che li porti alla felicità, ma ciò accade assai di rado in Blues Harp.

Emblematica a tal proposito è la figura di Kenji (un Tanabe Seiichi in gran spolvero), yakuza in carriera appartenente al clan Hanamura, che per mantenere il suo ruolo all'interno della gerarchia è costretto a celare a chiunque la propria omosessualità: un outcast posto all'interno quindi, anziché ai margini, della sfera sociale nipponica. La dolorosa soppressione della propria natura è il pegno necessario da pagare nel tentativo di emergere in quel micro-(ma mica tanto)-cosmo che sono le organizzazioni mafiose giapponesi. Tanto più che questi, nel tentativo di destabilizzare il proprio boss, non esita a concedersi alla di lui moglie Reiko, la quale ovviamente ignora – perlomeno in un primo momento – la reale natura del giovane yakuza. Miike è come sempre un maestro nel trasmettere informazioni ed emozioni tramite l'uso di semplici immagini senza mai scadere in sterili didascalismi; quantomai efficace è la scena che vede Kenji intento a lavarsi con inaudito vigore dopo l'amplesso con la donna, quasi volesse rimuovere ogni traccia di lei dal suo corpo. Ancor più pregna di significato è quindi la sequenza che determina la scoperta, da parte di Reiko, della repulsione che lui prova nei confronti di lei: mentre egli è sotto la doccia la donna lo guarda di nascosto, e comprende, mentre un rivolo di sangue comincia a colarle lungo la coscia, segno di uno strappo che difficilmente potrà essere ricucito, nonché preludio ad una tragica successione di eventi. Il ruolo del co-protagonista Chuji (l'altrettanto valido Ikeuchi Hiroyuki), giovane spacciatore, barista, nonché musicista a tempo perso, rispecchia anch'esso, forse ancora più che quello di Kenji, la figura dell'outcast miikiano. Le vicende raccontate in Blues Harp si svolgono infatti nei pressi di Yokohama (per la precisione nella città di Yokosuke), ove si trova una importante base navale statunitense e che di conseguenza è ampiamente popolata da cittadini stranieri. Chuji è infatti nato ad Okinawa, altra importante base americana, figlio di una prostituta giapponese e di un militare afroamericano, e già da questi importanti elementi si può facilmente comprendere come il suo personaggio si presti alla perfezione per rappresentare la figura dell'outcast. Egli stesso non si sente quindi del tutto giapponese, e il suo desiderio di andarsene a Dejima, nella baia di Nagasaki, “l'unica finestra aperta sul(l'altro) mondo” per fuggire dal Giappone e conoscere altra gente simile al padre (che nel frattempo si è ridotto a vivere per le strade della città come un senzatetto, ovvero la più pura incarnazione del reietto) è qui rappresentato dal suo amore per gli aerei che solcano di continuo i cieli della città: un altro eccellente esempio delle capacità comunicative del regista.

E' poco dopo i primi, splendidi minuti di Blues Harp, in cui un frenetico montaggio alternato a ritmo di musica tra Chuji che suona l'armonica sul palco e Kenji che fugge per le strade della città anticipa il magistrale incipit del primo capitolo di D.O.A. (1999), che i due protagonisti entrano per la prima volta in contatto. Chuji infatti, dopo essere uscito dal locale per fumare una sigaretta, si imbatte nello yakuza braccato e lo nasconde alla vista dei suoi inseguitori, per poi curarlo dalle ferite riportate durante lo scontro con una gang rivale – grazie all'aiuto di Tokiko, la sua nuova ragazza – ed infine ospitarlo nel proprio appartamento. Già da qui vengono rivelate allo spettatore le pulsioni omosessuali di Kenji, che osserva desideroso il corpo nudo di Chuji mentre dorme nel suo letto. Particolarmente interessanti si rivelano essere i numerosi parallelismi e giustapposizioni tra personaggi di cui il film è disseminato: tra Chuji/Tokiko e Kenji/Reiko, tra Hanamura/Reiko e Reiko/Kenji, ma soprattutto è il confronto tra l'amore non corrisposto (e non rivelato) di Kenji nei riguardi di Chuji e quello di Kaneko, eccentrico quanto sfigato braccio destro di Kenji, nei confronti del proprio capo; anche qui, perfettamente in linea con l'atmosfera tragica che pervade l'intera pellicola, Kenji ignora completamente il desiderio che il suo sottoposto prova nei suoi confronti. E proprio per il sentimento di gelosia che Kaneko prova nei confronti di Chuji quest'ultimo viene consegnato in pasto al clan rivale degli Okada, proprio nel momento in cui per il giovane barista le cose iniziano a girare per il verso giusto: Tokiko che aspetta un figlio da lui, il tentativo di abbandonare del tutto l'attività di spacciatore (della cui esistenza la fidanzata ne è all'oscuro) e l'inizio di una promettente carriera da musicista – ovviamente blues, la musica della malinconia per eccellenza. Il senso di minaccia che avvolge i personaggi col proseguire della vicenda è tangibile, e perfettamente in linea con le tematiche miikiane di disgregazione del gruppo (coadiuvate da elementi ricorrenti in altri suoi film come l'immagine della luna piena, segno di pericolo imminente) e conseguente morte/annullamento dei suoi elementi: una tragedia annunciata, un destino spietato ed ineluttabile. Come anticipato nelle prime righe, Blues Harp non si prodiga più di tanto in termini di violenza esplicita – perlomeno rispetto a precedenti film di gangster comeFudoh e Shinjuku Triad Society – ma questo non significa che sia meno toccante, anzi, il fatto di mantenere alcuni elementi fuori campo non fa che massimizzarne l'effetto dirompente. Non mancano comunque scene in pieno stile action di indubbia efficacia, come l'esplicito omaggio a John Woo che vede Kenji in azione armato di due pistole muoversi in ralenti, o lo stesso scontro iniziale tra gang in cui è coinvolto Kenji, dallo stile fumettoso che ricorda Street Fighter (il videogame, non il film): il tutto ottimamente speziato dall'incalzante e azzeccato commento sonoro di Okuno Atsushi. Un film da riscoprire assolutamente, per miikiani e non.