Cocktail

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CocktailScorre l’alcool ad Hong Kong. Nel 2005 è toccato al Pessimo Drink Drank Drunk di Derek Yee, il 2006 è stata la volta di Cocktail.

Herman Yau e il collega LongIsland So (ma come si fa a darsi un nome occidentale del genere?) dirigono un film di ragazzini che sembra uscito dalle sensuali mani cinefile di Barbara Wong. Il film non è altro che un lungo flusso di storie da bar, ambientate in un pub (Heaven Hell) illuminato come quello all’inizio di Time & Tide (film fotografato appunto da Herman Yau). La regia sinuosa abbonda di effettini di  post produzione utilizzati a casaccio (e va pure bene) ma con cattivo gusto (va meno bene). La preparazione frenetica dei cocktail è montata come l’assunzione dell’eroina in Requiem for a Dream. Storie di vincoli e legami, familiari (tra il protagonista e suo padre alcolizzato), sentimentali (un florilegio di situazioni più o meno platoniche), lavorativi (Derek Tsang e il suo datore di lavoro). L’approccio al difficile tema (giovani-alcool-sbronze) com’è affrontato? Indicativamente bene, con pochi disequilibri vistosi, alcune piacevoli invenzioni (il protagonista che crea beveroni dedicati al carattere del cliente), dettagli e piccoli indizi agrodolci. Il tutto ambientato in una Hong Kong mai così spaventosamente grande dove un saluto sembra sempre un addio ed equivale ad una impossibilità di ritrovarsi mai più. Il tutto dato in mano ad una gang di attori giovanissimi; si va da Candy Lo (la più anziana?) che recita sempre uguale col suo sorrisetto sotto i baffi perpetuo, il convincente Endy Chow, la brava Race Wong, e il già citato Derek Tsang  (figlio di Erik Tsang) con la sua una-espressione-una. Herman Yau dirige un film più introspettivo e umile del solito, lontano anni luce dai tellurici esordi della propria carriera, nonostante riesca ad infilare una immotivata (quanto dovuta, per carità) battutina su Bush. Alla fine il prodottino è piacevole, scorre via senza raccontare nulla, trasportando personaggi e mescolandoli proprio come i vari componenti dei coloriti cocktail preparati nel film, arrivando in fretta e senza noia alla fine lasciando addosso davvero poco, raccontando una storia estremamente “normale”, in maniera estremamente “normale”. Sta poi al pubblico decidere se vale la pena o meno avvicinarsi al film. Da parte nostra ci avviciniamo sempre con piacere ad ogni lavoro del regista.