Fox Legend

Voto dell'autore: 3/5

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Fox LegendUn inizio folgorante lascia poi spazio ad un film mediocre. I primi quindici minuti di Fox Legend sono strabilianti. Un gruppo di uomini, spossati dalla fatica e vessati dal sole cocente, si trascinano per un deserto cosparso di resti di loro colleghi precedentemente passati di lì. Quando le loro forze si stanno ormai esaurendo, vedono in lontananza una villa in mezzo al nulla. Si aggrappano a questa insolita speranza e vi entrano, trovando fonti, vasche e un nugolo di belle fanciulle capitanate da una procace maitresse. L’illusione termina in breve, tutta la scenografia era solo un miraggio, gli uomini si stanno abbeverando di sabbia e le procaci fanciulle non sono altro che affamate demoni volpe (o come viene dichiarato dai sottotitoli "demoni lupo") pronte a fare scempio dei corpi degli sventurati. In soccorso arriva un disincantato cacciatore che ingaggia una lotta contro la mamasan del gruppo. Il duello tra i due è coreografato in modo più che virtuosistico come un Ching Siu-tung (Swordsman II, A Chinese Ghost Story) epilettico e con un’estrema deframmentazione della dinamica dell’azione, continue porzioni di movimento talmente rapide da sfiorare l’impercettibilità, in un furore compositivo quasi da deriva di un metodo codificato e reinventato dal duo Tsui Hark/Ching Siu-tung. Esauritosi questo proemio il film si trasforma in una copia sbiadita monotrofa della saga di A Chinese Ghost Story, adottandone anche due degli attori protagonisti, Wu Ma, qui nel ruolo del cacciatore di demoni volpe e Joey Wong, nello stesso identico ruolo che ricopriva nella saga di Ching Siu-tung ossia di una demonessa al servizio di una regina/demone-volpe, obbligata ad uccidere un uomo di cui suo malgrado si innamora per strappargli il cuore, elemento fondamentale per la resurrezione di un demone lupo. Il ricalco quasi fastidioso del modello originale è deprivato però di tutta la suggestione, sia a causa dell’assenza di musiche adatte, che a causa dei due attori che recitano quasi per inerzia e in modo stanco, che della regia, poco ispirata e del tutto priva di quella suggestione evocativa propria del film di Ching Siu-tung (e del tocco magico di Tsui Hark). I debiti sono evidenti e raggiungono il climax in una sequenza in cui Wu Ma, per insegnare i segreti della caccia al suo discepolo, si lascia andare ad un’imbarazzante sequenza musicale che ricalca con precisione calligrafica, ma senza un minimo di magia, quella omonima del monaco taoista della trilogia.
Ad interrompere il monofonico flusso narrativo intervengono alcune sequenze da guilty pleasure, tra cui la lotta di un gruppo di guerrieri contro una coda di volpe volante e un personaggio femminile, abile nelle arti marziali e armata di un uncino falciforme al posto della mano.