Hide and Seek

Voto dell'autore: 3/5

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Alcuni segnali ineludibili si sono poi esplicitati nel 2013 quando il cinema coreano ha dimostrato di essere nel bel mezzo di una nuova rinascita cinematografica; incassi alle stelle e dominio maggioritario sui blockbusters americani, produzione di colossal e film per il grandissimo pubblico (come Mr. Go). E per un autore che parzialmente perde la rotta come Park Chan-wook e il suo venefico esodo USA Stalker, gli altri noti hanno dato conferme (Kim Ki-duk e Bong Joon-ho). Su tutto questo si è fatto valere un nuovo filone di cinema di genere come di impegno civile entrambi accomunati dall'essere più sfaccettati, meno concilianti, meno pop. E' sempre un cinema esteticamente molto internazionale ma che sta cominciando a ferire di più lo spettatore. Se i bei Cold Eyes e The Terror Live appartenevano a questo blocco, Hide and Seek invece si avvicina di più a certi thriller sanguigni del passato (come Black House, per citarne uno) evocando al contempo ma allontanandosene -fortunatamente-  in fretta il Caché di Haneke.

Un uomo che vive negli USA torna in Corea del Sud con moglie e figli per cercare notizie del fratello dopo che questo sembra essere scomparso. Nel suo fatiscente appartamento all'interno di un grosso agglomerato troverà indizi che fanno ipotizzare la pazzia dello stesso e una sua deriva violenta. Ma non tutto è come sembra.

Il film narrativamente poggia su una leggenda metropolitana enunciata ad inizio e fine film, che racconta di poveri che si infilano nelle case dei ricchi e lì vivono senza farsi scoprire fino a prendere possesso di tutti i beni e dei ruoli sociali (un po' come era nel bel Diamond Hill di Soi Cheang). Hide and Seek ha un'insolita struttura narrativa che risolve il primo conflitto a metà film salvo poi montare una seconda parte verso un'altra direzione. Manca di quella freschezza e di quel quid in più dei titoli già citati ma si rivela un onestissimo thriller perfettamente funzionante e competitivo con tutto ciò che esce nel resto del mondo.