Ip Man

Voto dell'autore: 3/5

VOTA ANCHE TU!

InguardabilePassabilePiacevoleConsigliatoImperdibile (10 votes, average: 3,50 out of 5)

Ip ManIp Man. Un nome noto agli appassionati soprattutto per la sua connessione con Bruce Lee, essendo stato per alcuni anni il shifu del piccolo drago e - più importante - uno dei massimi esponenti della tecnica Wing Chun. A dire il vero, è abbastanza sorprendente che non gli fosse mai stato dedicato un film, soprattutto se si considera che durante la rinascita del genere a cavallo degli anni ’90 tutti i grandi maestri della storia cinese hanno ricevuto una trasposizione cinematografica, in primis gli eroi nazionali Wong Fei Hung (interpretato tra gl’anni ‘50 e ’80 in ben 59 pellicole da Kwan Tak-Hing, ma anche da Jackie Chan nei due Drunken Master e naturalmente da Jet Lee nella serie di Once upon a Time in China) e Fong Sai Yuk (ad. es. Heroes Two e Men from the Monastery di Chang Cheh o nel dittico interpretato sempre da Jet Lee). Certo, ci sono alcuni bruceploitation in cui fa la sua comparsa “il maestro” (ma qualsiasi collegamento con la persona reale è puramente speculativo) di Lee, ma questa è la prima volta che il personaggio si conquista il ruolo da protagonista assoluto. Forse si stava solo aspettando il momento giusto. Così nel 35° anniversario della morte di Lee, finalmente qualcuno si è deciso a dedicare un biopic a questo personaggio dalla storia avventurosa. Quando nel 2008 è apparsa la notizia che questo qualcuno sarebbe stato Donnie Yen, le aspettative sono subito salite alle stelle. Uscito nelle sale alla fine del 2008, Ip Man ha ricevuto lodi sperticate da parte della critica anglosassone, che l’ha immediatamente dichiarato uno dei migliori film di arti marziali di tutti i tempi. In tempi di magra, si sa, le pretese si abbassano ed è proprio questo il caso di Ip Man. Purtroppo la verità è che il film, pur facendo il suo dovere, rimane ben lontano dalla vette più alte e - in un certo senso - fallisce, come era già accaduto con Fearless (Ronny Yu, 2006), ad infondere una nuova linfa al genere. Due pellicole, che nonostante le differenze hanno più che un punto in comune. Il film di Yu, indipendentemente dal (mediocre) risultato, però alla sua base aveva un’idea piuttosto bella, ossia il maestro di arti marziali, che in realtà non ha mai capito veramente la filosofia delle stesse e deve intraprendere un nuovo cammino, questa volta consapevole. Il film di Wilson Yip invece rientra più banalmente nella scia delle pellicole a cui si accennava sopra.  In questo senso anche la trama non riserva troppe sorprese.

Ip Man è l’indiscusso maestro di Fo Shan, cittadina tappezzata di scuole di arti marziali. In segno di rispetto, ogni giorno viene sfidato da un maestro di una scuola diversa. Il nostro, un umile aristocratico che passa le proprie giornate a perfezionare il suo stile di combattimento, accetta a condizione che i duelli vengano tenuti a porte chiuse, in modo da non danneggiare la fama degli opponenti. La situazione cambia all’esplosione della guerra cino-giapponese …

Diciamo pure che chiunque abbia visto Fist of Fury / Dalla Cina con Furore (Lo Wei, 1972) può farsi un’idea di dove si vada a parare. In altre parole, abbiamo una delle principali tipologie di trama del genere, inclusa la visione delle arti marziali come fattore riunificate, che supera ogni miseria. Come quasi tutti i biopic, anche Ip Man, fonda realtà storica e leggenda. Ormai però lo schema basilare è talmente risaputo che lo spettatore può tranquillamente concentrare la propria attenzione sulle scene d’azione, vero fulcro della pellicola. Wilson Yip, regista di classici come Bullets over Summer, ma anche stronzate colossali come Bio-Zombie si era rilanciato qualche anno fa con SPL (2005) grazie proprie alla folgoranti scene di combattimento che vedono protagonista Donnie Yen. Sembrava nata una nuova coppia artistica destinata a crescere, ma sia Dragon Tiger Gate (2006), che Flash Point (2007) hanno deluso le aspettative che si erano create. In Ip Man la regia è senz’altro solida, ma non mostra particolari guizzi. Per fortuna, le scene d’azione sono sopra la media, soprattutto per la loro chiarezza di messa in scena. Yip tiene l’inquadratura e non distrugge le buone (ma non memorabili) coreografie di Sammo Hung e Tony Cheung con inutili stacchi continui, cosa che accade fin troppo spesso. Il resto, purtroppo, è normale amministrazione e non si ha il senso di trovarsi di fronte a un’opera “definitiva” come era stato con Fist of Legend (Gordon Chan, 1994), che rimane l’ultimo grande puro film di arti marziali (il capolavoro di Stephen Chow, Kung Fu Hustle merita un discorso a parte). Il pregio maggiore di Ip Man è di aver riaperto la discussione sullo stato attuale del genere. Il successo commerciale comunque ha convinto Wilson Yip e Donnie Yen a realizzare un sequel, in uscita nel 2010. Non stiamo certo fremendo dall’attesa. L’ultima parola però spetta, come sempre, allo spettatore, ma - ad opinione di chi scrive - proseguendo in questa direzione il futuro è tutt’altro che roseo. Clint Eastwood a proposito de Gli Intoccabili ha dichiarato: “Constructing a mythology, while deconstructing the myth”. Chi ha orecchie per intendere …

Salva