Legendary Assassin

Voto dell'autore: 3/5

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Se Tony Jaa, dopo un pugno scarso di titoli si è permesso di passare alla regia perché non poteva farlo anche il talentuoso Wu Jing (Seven Swords, SPL), atleticamente abile oltre che attore dotato di una maggiore gamma di espressioni, rispetto al collega thailandese, già dimostrate nei precedenti film?
E così eccoci precipitare in un perfetto e piccolo film di Hong Kong che sembra spuntare dal ventennio precedente con tutti i meriti e i difetti del caso, senza che questa affermazione possa apparire un’offesa all’opera. Il regista, anche attore, esordisce alla regia, ma come un tempo nei credits si fa affiancare da un altro nome, quello di un coreografo marziale (Nicky Li Chung-Chi, competente e con un buon background, proveniente dalla factory del Jackie Chan Stunt Team). All’esordio anche Celina Jade, nei panni della co-protagonista, bella e giovane cantante e modella.
Inoltre ben due coreografi marziali in campo, il già citato co-regista e Jack Wong Wai-Leung, carriera ventennale tra interpretazioni, coreografie e assistenze.
Ma non si fermano qui gli elementi in comune con il vecchio cinema locale; ormai rivivacizzato l’utilizzo invasivo di porzioni urbane locali negli ultimi due anni, si ritorna a costruire il mondo in un set non più ampio di un chilometro quadrato. E così ci troviamo ciurme di gangster, poliziotti e killer darsi la caccia nel pittoresco e minuto villaggio galleggiante di pescatori di Tai-o sull’isola di Lantau dove il protagonista rimane intrappolato a causa del classico tifone hongkonghese che ha bloccato ogni mezzo di trasporto acquatico. E forse è l’aspetto più intrigante dell’intero film, ovvero il contesto scenografico, un bucolico e placido villaggetto pittoresco che fa da contrasto a violentissimi scontri di arti marziali.

Wu Jing interpreta un killer che arriva nel villaggio sopra menzionato per abbattere un gangster e –emulo del cinema di Peckinpah- rubarne la testa riportandola ad Hong Kong nascosta in una sacca da bowling. Ma un ciclone lo blocca sull’isola ed entra in collisione con la polizia locale inconsapevole della sua identità. Riesce anche ad innamorarsi di una giovane poliziotta, ma dovrà affrontare la vendetta di un esercito di gangster che vogliono  indietro la testa.

La prima porzione narrativa fa quasi gridare al miracolo, epica, violentissima, con delle coreografie astratte ma decisamente fisiche sullo sfondo del piccolo tempio di Tin Hao. Poi –ma siamo nella norma a ben pensarci- l’ingresso del melò, del dramma sentimentale e della commedia portata da un poliziotto scemo, unita a delle coreografie che perdono di mordente fino al finale tanto eccessivo quanto risaputo, fanno cedere il terreno sotto i piedi al film.
Un oggetto piacevolissimo quindi. Il fatto è che il pubblico se lo gusta oggi, nel 2008. Pensare che fino a 15 anni fa ad Hong Kong di film così ne uscivano almeno una trentina l’anno fa sorgere un po’ di nostalgia.
Dimenticando questa malinconia riflessione possiamo prendere atto della capacità di Wu Jing alla regia, e vederlo come un continuatore fedele e speriamo sempre più complesso e rigoroso del cinema action.