Metallic Attraction: Kungfu Cyborg

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La fantascienza è un genere poco esplorato nell’ex colonia inglese (come in Cina). Qualche titolo Shaw Brothers, qualche tentativo da parte della Film Workshop di Tsui Hark, qualche delirio di Wong Jing, qualche episodio sparso e laterale ma tendenzialmente una fantascienza diversa da quella tipicamente intesa in occidente; sicuramente più povera e affabulatoria, più intima e meno satura di scenografie sontuose. E’ per questo che ogni tentativo in merito suscita sempre un discreto interesse soprattutto se alla regia dell’opera si cala un regista del calibro di Jeff Leu, uno dei meno apprezzati ma più talentuosi del cinema locale degli ultimi 20 anni abbondanti. Se solo pochi anni fa Stephen Chow era riuscito con successo a sottomettere l’effetto speciale al suo talento e ad una storia rigorosa (CJ7), in questo caso ci troviamo di fronte ad un prodotto sicuramente meno equilibrato e più vicino appunto al cinema del ventennio precedente in quanto a forma. Dovrebbe essere un pregio in parte ma i tempi sono cambiati e se anche lo spettatore può risultare preparato alla giustapposizione di temi e generi così opposti, dall’altra il regista fa l’errore di offrire il fianco con troppa fiducia all’effetto digitale. Ora, anche se l’effetto è ad opera della Centro Digital Pictures (quelli di The Storm Riders e Kill Bill) dall’altra sono comunque effetti non competitivi con il resto dell’Asia (soprattutto Corea del sud e Giappone che hanno già dato le loro prove di forza in merito) e con Hollywood. L’errore maggiore è di muoversi in bilico tra visione pop e libera dell’effetto e deriva fotorealistica pendendo troppo spesso verso questa seconda (de)riva. E lì tutta la magia purtroppo viene divorata e nonostante l’iperdinamicità dell’evento messo in scena, la grafica, a metà tra un tokusatsu, un video introduttivo di una console e un Michael Bay, diviene pesante finanche noiosa.
Un film sicuramente non del tutto riuscito quindi. Ma solo Jeff Lau (che a tratti rivendica il suo innegabile talento) riesce ed ha il coraggio di fondere Transformers, Terminator, Wong Kar-wai, Mr. Vampire e sé stesso, tra cyborg innamorati che citano Shakespeare ma imitano Jeff Lau e un robot kaiju assemblato dalle sembianze di un vampiro saltellante locale.
Straordinario il finale, ottime più sequenze cariche di quella poesia leggere del regista e di quei tocchi di inventiva e classe a cui ci ha abituato nel passato ma che non riescono a donare un film totalmente compiuto.
Tra gli attori vanno segnalati il “solito” Ronald Cheng, un inutile Wu Jing, una deliziosa Betty Sun Li (Fearless), un incredibilmente funzionale Alex Fong Lik Sun e un cameo di Erik Tsang che regala un altro personaggio memorabile per la propria carriera, quello di un leader che si esprime perennemente in lacrime ed espressione contrita.
Nelle retrovie, una storia d’amore squisita e in punta di penna che spazza via senza lasciarne nemmeno la polvere quella volgare e stantia dei Transformers (dimenticate le chiappe al vento di Megan Fox).