Midnight My Love

Voto dell'autore: 4/5

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Quasi ci si perde tra le vie della Bangkok notturna portata su grande schermo da Kongdej Jarutanrasamee in Midnight My Love, con le sue strade così sole, tristi e vuote, proprio come le persone che le popolano. Il taxi di Sombat è solo un piccolo puntino rosso e blu che si perde in mezzo a tutte quelle insegne e a quei neon colorati, che illuminano tutto ma non il cuore della gente. Sono solo le note delle vecchie canzoni popolari trasmesse da una piccola radio locale a riuscire a portare un po’ di compagnia nelle lunghe notti di Sombat, mentre tutto intorno a lui la metropoli pulsa colma fino all’orlo di anime incomprese e solitarie. Anime come quella di Nual, massaggiatrice ed accompagnatrice per ricchi uomini d’affari, che in quel tassista conosciuto per caso trova qualcosa di diverso da ciò che è abituata a conoscere. Tra i due nasce una sorta di complicità fatta di imbarazzi e di lunghi silenzi. Immersi in una realtà che li vedeva fino a poco prima vagare senza meta, si ritrovano prima uniti e poi divisi da un nemico comune: la stessa Bangkok, una città che si prende cinicamente ciò che vuole dai suoi abitanti, spietatamente, sfidando anche le leggi karmiche che alle buone azioni vorrebbero sempre veder corrisposta una sorta di ricompensa divina. Ricompensa che però puntualmente non arriva, a meno che non la si voglia prendere con la forza. Sombat non è altro che un Travis Bickle dall’animo candido, filtrato attraverso gli occhiali scuri di un Wong Kar-wai (molteplici le similitudini a livello narrativo con certi film del regista di Hong Kong): un personaggio tanto tenero quanto isolato alla perenne ricerca di uno scopo, alla rincorsa di un obbiettivo che tutti sembrano volergli impedire di raggiungere. Ed in una continua ed alienante spirale discendente fatta di rimorsi e lunghi silenzi, il breakdown risulta essere sempre più vicino. Istante dopo istante.

Meglio chiarirlo subito, l’assunto di base di Midnight My Love è tutt’altro che originale e c’è un palese derivativismo di fondo dietro allo stile da melodramma esistenzialista di Jarutanrasamee. In questo caso però le tematiche dei prodromi vengono appena sfiorate e l’attenzione tende a spostarsi su altri territori: più specificatamente, sulla dicotomia che vede la tradizione opporsi al modernismo e viceversa, argomento qui rappresentato attraverso un ingenuo parallelo tra il rapporto fra Sombat e Nual ed un vecchio dramma televisivo (le cui finte scene d’archivio sono state girate per l’occasione con gli attori del film). E’ la stessa Bangkok, quindi, che non può più permettersi di accettare sé stessa o è solo il povero Sombat a non riuscire a sopportarne il nuovo volto, così buio e cattivo? E’ la capitale a diventare la vera protagonista, fautrice di orrori indescrivibili, di incubi interminabili e di assillanti paranoie urbane, un luogo cupo e ricco di ostacoli inaspettati alla quale si può sopravvivere soltanto donandole una parte di sé (fisicamente o psicologicamente, non fa differenza). Petchtai Wongamlao è bravissimo a portare su schermo il solitario tassista assillato da mille dubbi e insicurezze, dimostrando di non essere solo una maschera comica (sue le regie e le parti da protagonista in divertenti baracconate come The Bodyguard o Hello Yasothorn) ma di riuscire a portare su schermo anche dei personaggi di profondità ben maggiore. Mentre Kongdej Jarutanrasamee si riconferma, dopo il successo del bel Sayew  (anch’esso non a caso impegnato nell’affrontare a suo modo la morte delle tradizioni), un autore anomalo ma assolutamente da tenere d’occhio: magari un finale più coraggioso avrebbe reso il film un piccolo capolavoro, ma anche così Midnight My Love resta una grandissima sorpresa. Decisamente da vedere.