Midori: The Camellia Girl

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Midori è probabilmente l'opera più nota del maestro del fumetto giapponese Suehiro Maruo e quella che ne ha maggiormente esportato l'aura del proprio talento in occidente, vantando anche edizioni italiche.

Midori andò in avanscoperta in Italia (come avvenne d'altronde anche con Shintaro Kago e Junji Ito e come sta avvenendo, al momento della stesura dell'articolo, con Umezu e Hideshi Hino) aprendo le porte alla successiva pubblicazione di altre opere dell'autore.

Nel 1992 fu realizzato un mediometraggio d'animazione, “assemblato” con una tecnica inusuale, che garantiva e manteneva tutti gli elementi preponderanti dell'opera, ovvero il sesso estremo, la violenza sanguinaria e la follia visiva dadaista, elementi che ne hanno travagliato la diffusione nel mercato rendendolo ad oggi film parzialmente “perduto” nella definizione nativa.

Nel 2016 infine si opta per una ovvia (ovvia all'interno del vorace mercato giapponese continuamente intermediale) versione live action.

Certi che non ci si possa aspettare una riproposizione pedissequa di tutti i temi “sovversivi” propri dell'opera originaria, e la storia del cinema giapponese e degli adattamenti locali ne è continua prova. Ma mai ci si sarebbe aspettati una versione di Midori praticamente esente dai nudi, dal sesso e della violenza.

Quasi nulla resta dell'opera originale, quindi, se non una vaga ricerca formale che incuriosisce, specie nella prima parte, ma che ben presto passa in secondo piano a fronte di una narrazione che non decolla, che fraintende, che non ha mai guizzi e che raggiunge il climax del brutto proprio nel massacro finale sotto-budget, con effetti tradizionali poco speciali e quelli digitali realizzati con video bank posticce di comune reperibilità.

Non si riescono quindi a trovare grossi pregi nell'opera a fronte anche di attori ben calati nei personaggi ma con una direzione il più delle volte forzata e sopra le righe tale di risultare irritante più che perturbante.

La relativamente breve durata diventa così estenuante anche a fronte di un doppio finale inedito poco esaltante, non può stimolare i fans dell'opera originaria ma probabilmente nemmeno incuriosire un pubblico che non conosce le origini del “mito”. Nota di merito per i titoli di testa che forse restano la sezione migliore del film.