My American Grandson

Voto dell'autore: 2/5

VOTA ANCHE TU!

InguardabilePassabilePiacevoleConsigliatoImperdibile (1 votes, average: 1,00 out of 5)

E’ noto ai più soprattutto per il suo ruolo di monaco taoista in Storia di Fantasmi Chinesi (A Chinese Ghost Story) e fa una certa piacevole impressione trovare Wu Ma qui in un ruolo così intenso. Detto questo si farebbe un favore al film tacendo tutto il resto.

My American Grandson appartiene al filone di film basati sul gap generazionale, in particolare in questo caso tra nonni e nipoti. E non è solo un film sui contrasti tra età, parenti, caratteri, ma soprattutto tra culture visto che il nonno è un professore in pensione di Shanghai e il nipote nativo americano. In questi casi più si delinea la bontà del nonno in contrasto con la bastardaggine del nipote più il film assume potere a livello emotivo. Tutto in regola; il ragazzino è di un’antipatia insostenibile perennemente assorto in una bolla comunicazionale generata dal proprio walkman, chewingum sempre in bocca, scarpe da ginnastica, maglione di Snoopy e pantaloni in jeans. Naturalmente portatore sano di “cultura” statunitense costringerà il nonno buono a spendere una fortuna per assecondare i suoi capricci facendo inoltre sentire l’anziano e la sua famiglia come appartenenti ad una “razza inferiore” a causa dei propri usi e costumi e della situazione economica non rosea. Il ragazzino si troverà ad affrontare un trauma che lo convertirà al buon senso facendo scattare il classico scambio culturale saggezza/giovinezza tra sé stesso e suo nonno.

Purtroppo il soggetto è di una esilità sconvolgente, prevedibile e talmente retorico da non riuscire a coinvolgere nemmeno per un secondo. Su questo difetto non da poco si aggiunge una regia di una banalità allarmante, priva di ogni minimo segno di originalità; non parliamo di eccedere in virtuosismi (Ann Hui ha mostrato di sapersi  muovere in taluni contesti) e non si tratta certo di umana adesione ai personaggi; lo stile è di una inconsistenza che sfiora l’amatorialità, come non si vede ormai più nemmeno nelle regie televisive. Per salvare il film si può solo stare a guardare la performance attoriale di Wu Ma, una brava e bella Carina Lau e prendere il film come un affresco storico e sociale. Ann Hui, punta di diamante della new wave di Hong Kong, uno dei pochi nomi (parzialmente) “autoriali” dell’ex colonia, discontinua come non mai, ha fatto decisamente di meglio (e di meglio avrebbe fatto successivamente pur attenendosi spesso a simili temi e umori) e ha dimostrato più volte di saper dirigere film affezionandosi ai personaggi e gestendoli con un reale calore privo di ostentata retorica. Un film imbarazzante pensando a quanto fatto prima e dopo dalla stessa regista su territori tutto sommato simili.
Dello stesso filone ma con risultati del tutto migliori è il “recente” film sudcoreano The Way Home di Lee Jeong-hyang.