Nightmare in Precint 7

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Nightmare on Precint 7Fong Jing (Andy Hui) è un poliziotto burbero, asociale, ma al contempo timido, che ha appena concluso un caso con successo. Viene allertato improvvisamente dai propri colleghi per compiere una retata in seguito al pedinamento di un grosso malvivente e i suoi sgherri. In seguito alla relativa sparatoria due colleghi perdono la vita mentre, lui, colpito alla testa, finisce in come per due anni. Risvegliatosi, fisicamente in forma eccellente, scopre che la sua vita è drasticamente mutata; sua madre è morta, la sua ragazza l’ha lasciato e a occuparsi di lui restano un suo vecchio collega (Simon Lui) scampato alla sparatoria e l’infermiera Oscar (Loletta Lee) che l’ha seguito nei due anni di sonno. Una volta in piedi scopre di avere acquisito anche un anomalo potere; l’uomo è in grado di vedere e comunicare con le anime dei morti che affollano il mondo. In questo modo facendosi aiutare da uno psicologo defunto e da alcune ragazze assassinate cerca di catturare un serial killer stupratore di giovani infermiere che sta attentando alla vita di Oscar.

I continui siparietti comici (Fong per parlare liberamente con lo spirito dello psicologo, senza dare nell’occhio, finge di dialogare al cellulare) si alternano a apparizioni spettrali raramente efficaci, anzi, talvolta prossime al riso involontario (la prima apparizione nei bagni). E’ un peccato inoltre che la messa in scena del regista sia spesso molto trascurata e rudimentale producendo un film che sembra provenire dal decennio precedente (e non è un complimento). Dietro la macchina da presa oltretutto c’è Herman Yau, regista ormai navigato all’interno del cinema dell’ex colonia, sempre discontinuo, capace di produrre sia capolavori dell’estremo come Untold Story, che cadute di stile come questa. E anche la fotografia, attività parallela del regista, non è all’altezza del suo talento. I tre sceneggiatori ce la mettono tutta in inventiva ma la realizzazione tecnica lascia purtroppo a desiderare nonostante schegge assai piacevoli. Salva il film (un po’ come in Biozombie) lo straordinario finale –possibile solo nel cinema di Hong Kong- che da solo vale il film; peccato sia soffocato e annientato dai tre minuti successivi assolutamente banali e che sgonfiano istantaneamente l’enfasi e il pathos accumulatisi con tanta fatica.
Herman Yau l’anno precedente aveva diretto la fotografia in Time & Tide e si vede; tutto l’inseguimento tra Andy Hui e Lam Suet fa frutto (male e a casaccio) della lezione di Tsui Hark con continui zoom e movimenti nei corridoi di un condominio.
Andy Hui si muove su note attoriali del tutto anonime, così come Simon Lui (co-sceneggiatore), faccia classica e spenta del cinema horror dell’ex colonia. Sempre incantevole Loletta Lee e cameo di ordinanza di un esagitato Lam Suet (Exiled). Commistioni tra horror e poliziesco non sono una rarità all’interno del cinema di Hong Kong e se si gradisce il genere si può passare a prodotti più compiuti come The Victim di Ringo Lam o deliranti come Vendetta di Tony Leung Siu Hung.

 

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