Phra Apai Mani


VOTA ANCHE TU!

InguardabilePassabilePiacevoleConsigliatoImperdibile (4 votes, average: 1,75 out of 5)

Dopo dei riusciti colossal epici in costume, la Thailandia si avvicina ad un fantasy estremo macro effettato. Purtroppo il risultato finale si avvicina più all’esperimento filippino di Erik Matti, Exodus – Tale from the Enchanted Kingdom, che all’epicità metafisica degli Zu di Tsui Hark. E il difetto più grande è proprio la scarsa competività dell’apparato effettistico, un 3D assolutamente artificioso che riesce a convincere solo quando supportato da una creatività inedita e tendente all’antinaturalismo. Ed è anomalo l’utilizzo di effetti così obsoleti in un fantasy tanto ambizioso quando la Thailandia in quegli anni era già a livelli tutto sommato discreti (Garuda e Necromancer sono assai vicini).
La storia è tratta da un classico della letteratura locale del diciannovesimo secolo, scritto da Sunthon Pu, uno dei più celebrati scrittori nazionali.

Apai Manee (o Apai Mani nella translitterazione inglese) è un principe dall’aspetto tra il femmineo e il transessuale tout court. Insieme a suo fratello Srisuwan (che assomiglia invece a Jaycee Chan, il figlio di Jackie) viene cacciato dal regno da loro padre per il fatto di aver studiato rispettivamente il flauto e le arti marziali anziché gli affari politici utili a governare dopo di lui. Ma in realtà la loro applicazione ha portato dei risultati straordinari; Apai Manee grazie alle note del suo flauto riesce ad ottenere reazioni particolari sugli esseri viventi (lo vediamo ammansire tigri, abbattere un mostro e fare addormentare i propri compagni) mentre Srisuwan è un abilissimo combattente dotato di poteri magici in battaglia. Dopo avere salvato dei guerrieri da un’imboscata i fratelli si uniscono a loro in marcia, ma nel sonno indotto dal flauto di Apai Manee lo stesso viene rapito dalla strega dell’oceano una donna mostruosa obesa in kaiju size che ha la capacità di mutare sé stessa in discinta fanciulla sensuale. Srisuwan credendo perduto per sempre il proprio fratello continua la sua marcia tra un combattimento e l’altro fino ad innamorarsi di una principessa. Nel frattempo Apai Manee è diventato padre di un bambino soprappeso zannuto (che assomiglia a Sammo Hung) ma si innamora di una sirena e decide di fuggire insieme a lei e suo figlio verso un’isola appartenente ad un mago dove i mostri cattivi e i giganti non possono arrivare. Nel momento del conflitto finale i due fratelli si ritroveranno non prima di aver combattuto uno spaventoso scontro.

Quello che lascia sempre un po’ allibiti è la spinta degli estremi del cinema Thailandese anche in film vistosamente indirizzati ad un pubblico di ragazzi come questo; infatti fanno bella mostra di sé seni vari e numerose sequenze splatter nel corso degli scontri (occhi strappati, guerrieri tagliati in due, teste trapassate, fontane di sangue (sintetico e digitale)). Al contempo i fantasiosi ma goffi scontri fanno tesoro sia dell’esperienza dei chanbara giapponesi negli attacchi fantasiosi di montaggio e nella discontinuità spaziale, sia dei vari wuxia hongkonghesi con un florilegio di utilizzo di wirework, vistoso e sbilenco.

Nota: Dallo stesso libro è stato realizzato nel 1970 un ambizioso lungometraggio d’animazione (il primo realizzato in Thailandia) intitolato Sud Sakorn.