Ploy

Voto dell'autore: 3/5

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ployLa “Maladolescenza” di Ratanaruang? No. Cosa c’è che non va in Ploy? Ploy è una deriva? Forse no. Forse si. O si situa in un punto di equilibrio drammatico. Apparentemente Ploy rappresenta una deriva ormai fin troppo classica, comune e prevedibile di un autore che tende alla maniera e si contorce in uno slancio estetizzante fine a sé stesso capace di subordinare e schiacciare la patina narrativa. L’ha subìto Wong Kar-wai (apparentemente senza possibilità di ritorno), l’ha toccato To con il primo Election, l’ha affiancato Kitano subito ripresosi,  si è lasciato invadere anche Kim Jee-woon nel suo A Tale of Two  Sisters. Anche Kim Ki-duk, con relativa caduta di intensità e interesse del pubblico.
Ploy è assolutamente imperfetto, ma se da un lato non è una deriva totale nel senso appena citato, dall’altro ha dalla sua il fatto di essere un microscopico e poverissimo esperimento intimo; 3 attori, una location e mezzo, una regia e un ritmo a sottrarre, estenuante, fasciato perennemente da quegli inusitati esperimenti sonori cari al regista. E poi il sesso; torrido, abbondante, invadente, forte, tanto da avere imposto una versione cut locale dopo il  passaggio integrale al Festival di Cannes.
Dove crolla il film? Nell’apparato narrativo. Un esperimento così sensibile e complesso, necessita di una concentrazione e di un rispetto totale tra autore e spettatore. Ma quando una storia così matura e intima si lascia andare a casualità, svolte forzate, coincidenze, cadute di stile, incoerenza narrativa, si incrina la complicità con lo spettatore e crolla l’intera architettura filmica. Così ecco che il film, pur nella sua straordinarietà, non raggiunge assolutamente la coerenza, il rigore e il fascino di alcune opere precedenti.

Ploy sussurra la fragilità di un rapporto matrimoniale estesa al rapporto sentimentale tout court, scandaglia la routine dei sentimenti tra una coppia, utilizzando come chiave di volta la presenza di una “adulta bambina disincantata”, la sensuale Ploy del titolo. Il tutto svolto in una camera d’albergo in cui la coppia digerisce un fuso orario aereo di venti ore per raggiungere la Thailandia e presenziare al funerale del nonno di lei. Mentre in una stanza a fianco, senza apparente soluzione di continuità, un ragazzo e una ragazza si abbandonano ad una torrida e dolce mattinata di sesso.

Il contrasto tra l’astinenza dovuta alla routine e i giochi d’amore dell’approccio primitivo è evidente ma aggiunge ben poco all’intreccio.
Il talento del regista e la sua straordinaria direzione di attori è invariata, pregiata anche dai nomi al suo servizio: Ananda Everingham (il protagonista di Shutter), Apinya Sakuljaroensuk nei panni della giovane Ploy, Lalita Panyopas (già presente nel precedente 6ixtynin9) e Porntip Papanai, la Mae Nak di Ghost of Mae Nak.