Poetry

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Nell’ordinarietà di una vita semplice irrompe un evento stra-ordinario e doloroso, questa volta nelle sembianze di un giovane corpo che galleggia a faccia in giù in un fiume limpido e gorgogliante.
Lee Chang-dong osserva, si interessa, cerca di comprendere. Il suo sguardo curioso è il nostro sguardo che si attarda su un mondo che fino a prima di questa osservazione neanche esisteva.
Ogni sequenza a partire da quella iniziale è un’allusione all’orrore che ci circonda a cui ormai non facciamo più caso. L’elegante vecchina Mija aspetta il suo turno dal medico e nel frattempo, dalla TV, immagini di guerra e morte fanno baccano e compagnia in sala d’attesa.  Sono tutti indizi sulla  sua visione del “ Mondo come Volontà e Rappresentazione” che il nostro amato regista coreano ci  lascia sparsi qua e là.

Oltre che di un vecchio disabile, Mija si prende cura a tempo pieno anche del nipote in piena crisi adolescenziale e quindi brufoloso, strafottente e sfuggente. Sembra che gli uomini, i maschi, non stiano molto simpatici a Lee Chang-dong che gli affida sempre ruoli meschini, spregevoli; salvo qualche sfumatura di umanità sono sempre loro a perpetrare il male, che questa volta si fa branco. E ancora una volta vittima è una donna e a una donna spetta la riaffermazione della volontà di vita opposta alla distruzione e alla morte; è sola in mezzo a maschi pronti a zittire il dolore con il danaro, sola partecipa alla funzione religiosa in onore della giovane vittima quasi  a riconciliarsi con quest’ultima, a chiedere perdono.

Con una palese dichiarazione d’intenti fin dal titolo, in una realtà in divenire continuo, attraverso corpi che si disfano (il cadavere della studentessa, la malattia) Mija, e noi con lei, penetra nella riflessione cercando la propria espressione, attraverso la contemplazione della natura passa dal perturbante al sublime, dal bisogno, dalla mancanza, dalla sofferenza al conforto. Un grande riconoscimento dell’alto valore dell’arte da parte del letterato/regista/sceneggiatore/ex ministro nelle cui opere troviamo sempre una sacralità declinata al femminile che, a seconda dei casi, si fa martirio (Secret Sunshine), magia (Oasis) poesia, quindi creazione. Nella riflessione che sottende l’atto creativo, nel “guardar bene”, che Lee Chang dong individua la possibilità del conoscere, della scoperta del bello ma anche dell’orrore che è parte imprescindibile del tutto. Insomma, quest’ultima opera rappresenta una summa del pensiero chang-dongiano, tanto apprezzata da valergli il premio come miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2010, non a caso segue il terribile Secret Sunshine che ci aveva lasciato tanto turbati, sempre sulla linea del melò, mai consolatorio né meschino, perfettamente agrodolce, Poetry come metonimia per “Vita” è rappresentazione intuitiva e quindi Arte.