Shinjuku Triad Society

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Shinjuku Triad Society

Tokyo, quartiere di Shinjuku, distretto di Kabukichô, il centro della vita notturna. Il già labile equilibrio tra le varie gang Yakuza viene messo in serio pericolo dall’arrivo dello spietato boss taiwanese Shu-Ming Wang, che cerca contatti e agganci tra la mafia locale. Ovviamente il suo arrivo non è ben visto dagli appartenenti ai vari clan che vedono in lui una fonte di problemi, anche se  qualcuno di loro, come il boss Karino e la sua donna Ritsuko, accettano l’arrivo di Wang riconoscendogli il carisma e le doti per diventare un pericoloso boss mafioso e aprendogli la strada per il commercio illegale di organi provenienti da Taiwan. Il poliziotto corrotto Tatsuhito Kiriya, di origini cinesi e già sulle tracce dei vari boss Yakuza, focalizza il suo interesse verso Wang, in particolare dopo che il fratello piu’ giovane Yoshihito si unisce al suo clan in veste di avvocato. Inutile dire che lo scontro tra Tatsuhito e Wang sarà cruentissimo…

Shinjuku Triad Society ha una particolare importanza nella filmografia di Takashi Miike: è infatti il suo primo film girato appositamente per essere proiettato nelle sale cinematografiche. Prima di questo film qualcosa di Miike aveva già fatto capolino nelle sale, ma si trattava pur sempre di prodotti nati per il v-cinemaShinjuku Triad Society invece, nasce per il grande schermo. E, diciamocelo, Miike non poteva fare di meglio per farsi conoscere come autore cinematografico. In Shinjuku Triad Society si possono ritrovare numerosi elementi, sia stilistici che tematici, che saranno poi ripresi nei film successivi e che diventeranno un marchio di fabbrica del regista. Prendete solo i primi 9 minuti, prima della comparsa dei titoli di testa, coi quali Miike ci sbatte nel bel mezzo del quartiere di Shinjuku, che se di giorno è una zona affollata situata nel centro di Tokyo, di notte si trasforma in un luogo dove i facili divertimenti, gestiti dalla malavita locale (e non), sono ovunque. In particolare nel distretto di Kabukichô, dove droga, prostituzione e gioco d’azzardo sono all’ordine del giorno (o meglio, della notte). Il lungo incipit diventerà un marchio di fabbrica del regista di Osaka, specie nei suoi numerosi Yakuza-movie, e raggiungerà il top nello splendido Dead or Alive, di cui Shinjuku Triad Society rappresenta una sorta di “prova generale”, visti i numerosi punti in comune che hanno i due film. Nell’introduzione, caratterizzata da un montaggio frenetico e da musiche incalzanti di matrice hip-hop (adattissime per rendere un’ atmosfera di frenesia metropolitana), il sangue comincia già a scorrere copioso e il rosso a fare la parte del leone: teste mozzate, fiotti di emoglobina che sgorgano violenti da giugulari recise e botte senza pietà. Senza dimenticare l’evidente componente ironica che sarà poi presente in quasi tutti i lavori del regista; vedere un poliziotto sorridente appena arrivato sul luogo del crimine che si fa fotografare tenendo in mano una testa mozzata quasi come fosse un trofeo, oppure vedere pestare una enorme cacca umana (segno del livello di degradazione a cui si è giunti nella zona di Shinjuku), sono più che sufficienti per capire come Miike sia sempre pronto a spiazzare, strappando allo spettatore più di un’ isterica risata. Sempre durante l’introduzione, veniamo poi a conoscenza di alcuni personaggi chiave del film: la primissima scena del film vede Shu, un sadico ragazzo “prostituto” che scopriremo poi essere l’amante di Wang, che giace semi addormentato su un letto dalle coperte di raso, immerso in un’atmosfera che ha dell’irreale. Subito dopo, Shu è seduto sul pianerottolo delle scale di un locale alle prese con un blow-job a favore del presunto autore di un brutale omicidio, fino all’arrivo della polizia, che lo vede fuggire veloce come il vento (e lasciandosi dietro di se un poliziotto con la gola squarciata, da cui sgorga l’esageratissimo fiotto di cui si diceva in precedenza). Poco dopo (e stiamo sempre parlando dell’introduzione), vediamo il poliziotto Tatsuhito alla stazione della polizia, intento a interrogare con le maniere forti il personaggio presunto omicida di cui si parlava poc’anzi (quello che si stava divertendo poco prima grazie al lavoretto di Shu) e Ritsuko, la donna che ha aiutato Shu a fuggire dalle grinfie della polizia facendo scapuzzare gli inseguitori. Dopo una simpatica perquisizione corporale, da parte di una poliziotta, Tatsuhito prende a mano la situazione e comincia ad interrogare Ritsuko, la quale gli propone un po’ di sano “su-e-giù”. In risposta, Tatsuhito le fracassa una sedia in faccia. E da qui partono i titoli di testa: benvenuti nel mondo di Takashi Miike. Come ho detto in precedenza, in Shinjuku Triad Society si possono ritrovare diversi elementi e simboli che verranno ripresi dal regista nei successivi Yakuza-movie, a partire dal sopracitato Dead or Alive, passando per Fudoh (il rosso, ma anche la luna rossa/bianca) e arrivando infine ad ispirare una delle vette più alte mai raggiunte da Takashi Miike, ossia Ichi the Killer, vero e proprio suo film-manifesto (se proprio volessimo trovarne uno). In Shinjuku Triad Society inoltre, precisamente nella figura di Wang (uno strepitoso e agghiacciante Tomorowo Taguchi), possiamo già vedere una sorta di proto-Kakihara (lo Yakuza psicopatico di Ichi the Killer, interpretato dalla star Tadanobu Asano). Gli elementi ci sono tutti: Wang/Kakihara e’ un personaggio sadico/masochista, attratto e affascinato in maniera morbosa dalla violenza in tutte le sue forme, che si serve dell’ambiente circostante per vedere-provare-sentire-vivere (la violenza), sfrutta la sua posizione di mafioso ribelle per la propria soddisfazione personale, fatica ad integrarsi nel proprio habitat “naturale”, ossia il mondo della Yakuza, che già è ai margini della società giapponese. Un ribelle tra ribelli, insomma. Il fatto poi che Wang non sia giapponese, e che provenga da un orfanatrofio (senza genitori, quindi) non fa altro che rafforzare la sua immagine di personaggio privo di radici, arrivando così ad avvicinarsi all’archetipo del reietto-outcast miikiano. Che però, badate bene, non è un individuo senza cuore, ma è capace anche di amare (come si evince dall’intensa scena della sua morte, dove Wang, già crivellato di colpi da arma da fuoco, prima di esalare il suo ultimo respiro cerca – e trova – la mano del suo amante Shu per poi lasciarsi portare via dalla triste mietitrice). Nelle scene che si svolgono nel bagno all’interno della sua stanza, Wang mi ha persino ricordato una sorta di Conte Dracula, così attratto e affascinato dal sangue (Tomorowo Taguchi sarebbe perfetto nella parte del vampiro) grazie anche ad un’efficace fotografia e all’atmosfera decadente che aleggia attorno al personaggio. Senza dubbio, Wang è uno dei personaggi più riusciti di tutta la filmografia di Miike. Anche il poliziotto Tatsuhito (interpretato da Kippei Shiina) diventerà un’ immagine caratteristica dei successivi film di Yakuza del regista di Osaka: a partire dalla figura di individuo senza radici, dal momento che egli stesso ha origini cinesi (che però cerca di “rimuovere”, assumendo il nome giapponese, per esempio) e per certi versi si sente anche esso una sorta di estraneo alla società. Il fatto poi che sia corrotto (ha connivenze con la mafia locale), che abbia dei metodi alquanto spicci per ottenere ciò che vuole (violenza, anche sessuale ai danni di Ritsuko – la quale proprio grazie a ciò si sentirà attratta da lui – un paradosso-miikiano?), e che aneli la fuga dalla sozza Shinjuku nonché la ri-unione del proprio gruppo familiare (entrambe le cose si possono notare seguendo le scene relative al suo soggiorno-fuga a Taiwan per scoprire le origini di Wang, dove in un breve ma rappresentativo momento Tatsuhito vede un gioioso quadretto familiare, ossia un padre coi due bambini che ridono felici e contenti – inevitabile il parallelismo con la propria situazione). Quindi, anche le altre tematiche miikiane sono ben presenti in questo film, come quella della famiglia, visto che buona parte del film è incentrata sul tentativo da parte di Tatsuhito di allontanare da Wang e nel contempo di avvicinare a sè e alla propria famiglia il fratello minore Yoshihito. Il quale – spinto dal desiderio di emergere dall’ombra e farsi valere agli occhi dei genitori e del fratello – arriva ad ignorare letteralmente il fratello (e la famiglia di conseguenza). Emblematica è in questo caso la scena dove vediamo Tatsuhito inseguire a piedi l’automobile di Wang, guidata dallo stesso Yoshihito; e quando finalmente il fratello maggiore raggiunge l’auto ferma ad un semaforo, il fratello minore lo ignora bellamente e allo scattare del verde non esita a partire lasciando così Tatsuhito con un palmo di naso. Il desiderio di unione familiare è talmente forte ed importante per Tatsuhito, che man mano che il film procede il suo scopo principale non sarà più dare la caccia ai malviventi, ma sarà quello di riportare il fratello a casa. E, dopo una lunga e feroce scazzottata, che per intensità finisce per ricordare quella tra Roddy Piper e Keith David in Essi Vivono di John Carpenter, il fratello maggiore avrà la meglio e riuscirà a “convincere” Yoshihito a tornare presso i genitori (beh, si fa per dire: lo piazza ancora privo di sensi sul treno per casa…); solo dopo aver compiuto l’opera il fratellone potrà tornare a dare la caccia a Wang, fino ad arrivare alla sanguinosa sparatoria finale di cui ho accennato in precedenza (e anche qui Wang/Kakihara/Dracula sembra non volerne assolutamente sapere di morire, vista la generosa dose di piombo elargitagli da Tatsuhito).

Come nella maggior parte dei film di Miike, anche Shinjuku Triad Society è ammantato dall’immancabile velo di sangue e violenza, e conta tra le sue prelibatezze – a parte quelle già presenti nell’introduzione - una deliziosa enucleazione del bulbo oculare (da parte di chi secondo voi? Ma di Wang, of course), pugni-calci-botte da orbi, bicchieri frantumati a mani nude e via di questo passo. Ma l’episodio migliore e più divertente, che arriva a lambire i confini del surreale, rimane la sodomizzazione dello Yakuza nella palestra, da parte di un singolare poliziotto nano (?), il tutto sotto la supervisione di Tatsuhito. Scena deliziosa. A conti fatti, Shinjuku Triad Society  funziona benissimo anche come puro film d’evasione, col suo rasentare l’exploitation, tra nefandezze varie che in seguito raggiungeranno l’apice nel capolavoro Ichi the Killer, e dimostra come fin dall’inizio della seconda e più importante fase della sua carriera cinematografica Takashi Miike avesse già le idee chiare e non si ponesse nessun limite. Un regista libero, senza ombra di dubbio.