The Dragon from Russia

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dragonrussiaBen cinque anni prima del Crying Freeman prodotto da Francia/USA e diretto da Christophe Gans, ad Hong Kong erano già stati prodotti ben due film tratti (molto lontanamente, effettivamente) dall’omonimo manga di Kazuo Koike e Ryoichi Ikegami, A Killer’s Romance (Phillip Ko) e questo The Dragon from Russia. Film del genere dovrebbe produrli per contratto solo Wong Jing (che con Clarence Fok, ricordiamolo, ha dato vita al memorabile Naked Killer) ed invece il regista si va ad infilare dritto dritto nelle mani di una megaproduzione della Cinema City che assai spesso è capace di castrare anche il regista più capace seviziandogli il film. Ed infatti quello che esce fuori è un film assolutamente insostenibile e indifendibile. Certo si può apprezzare la regia e il montaggio epilettici e assolutamente inediti, fuori da ogni convenzione e regola grammaticale ma una narrazione castrante rende il film privo di ogni interesse, continuamente ingolfato in variazioni narrative, e di ritmo, cambi di stile e storia rendendo il film un accumulo di sequenze marziali mastodontiche e furiose ma prive di mordente. In questo modo il film diventa speculare ad un prodotto come Saviour of the Soul II, una sfilata di follia coreografica e di sperimentazione ardita tecnica priva di un substrato narrativo valido, con il risultato di una noia mortale diffusa e fastidiosa. Certo, fosse stato un film compensato da un minimo di rigore narrativo o almeno da una scelta di ritmo, non diciamo coerente, ma personale sarebbe potuto venire fuori un film assolutamente interessante come il suo Gun & Rose, ma in questo caso è praticamente da buttare tutto in blocco. Continui scavalcamenti di campo, distruzione dei raccordi, assoluta NON continuità di nulla, né di luogo, spazio, azione, movimento, ogni inquadratura sembra messa lì a caso, come se ogni frazione di pellicola fosse stata posta in una boccia di vetro e i vari pezzi estratti a occhi chiusi e giustapposti. Di suo è un’operazione anche interessante ma in questa modalità propositiva genera solo noia, incapacità di identificazione con nessun personaggio, spesso incapacità di comprensione dei caratteri degli stessi, delle dinamiche della storia, dei risultati dinamici degli scontri.

In questo modo, un cast davvero stellare di attori risulta del tutto sprecato da Sam Hui (di cui però si salva la canzone principale di cui è autore) alla divina e qui spaesata Maggie Cheung (In the Mood for Love, Heroic Trio), Dean Shek, Loletta Lee e Carrie Ng, forse l’unica a emergere sugli altri grazie a del potente carisma innato. Inutile e impossibile narrare la trama, un altro calderone di elementi buttati a caso dalla Cinema City, casa di produzione spesso artisticamente sopravvalutata, che produce l’ennesimo fallimento artistico in una produzione comunque costellata da successi di botteghino stellari.

Giusto per la cronaca, The Dragon from Russia risulta essere il primo film hongkonghese girato a Mosca.