The Musical Vampire

Voto dell'autore: 3/5

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Come ogni genere ormai codificato questo film si inserisce pedissequamente nel classico filone dei vampiri saltellanti.
Gli stereotipi ci sono tutti. C'è il sifu (in questo caso poco autoriflessivo e virtuoso) dedito alla continua esplorazione dei propri orifizi nasali e i due allievi perdigiorno eterna fonte di guai. Ci sono tutti i trucchi per bloccare i vampiri e tutti i classici sketch che allietano la pellicola derivanti dai poteri degli allievi, compresa la solita capacità di guidare i movimenti del corpo altrui al fine di farlo sfigurare nei confronti di una ragazza. C'è (e come potrebbe essere altrimenti) Lam Ching-Ying, grande ed eterno Fat-Si che come sempre risolverà la giornata. La carenza di originalità si abbina inoltre ad una povertà di mezzi (tre location e un'infinità di esterni in notturna) e ad una regia poco capace ed inventiva (e poco può fare il montaggio per salvare la baracca). E' quindi tutto da buttare? No, perché anche un piccolo film come questo ha un suo tocco di originalità che lo rende un tassello di un tutto più grande.
Lo Jiangshi (vampiro) di questa pellicola viene addizionato di un siero stimolante da uno scienziato che non può non ricordare l'Herbert West di Re Animator, atto a studiare i cadaveri in giro per il mondo. Il vampiro quindi diventerà immune ad ogni classico trucco segreto dei Fat-Si, avrà la capacità di vagare di giorno e sarà libero nei movimenti, senza l'obbligo di saltellare (come da mitologia). Questo gli permetterà di correre e volare, rendendolo uno jiangshi più letale del solito. E il “musical” del titolo anglofono? Non sappiamo. La cosa che più fa pensare alla musica è un carillon (che intona London bridge is falling down) incorporato ad un piccolo orologio in possesso di Loletta Lee che ha il dono di incantare il vampiro.
Gli attori provano a dare “credibilità” al prodotto, ma non è certo Lam Ching-ying da solo a poter fare tutto. Rimane una gradevole Loletta Lee e un giovane Xiong Xin Xin (The Blade) di inizio carriera. Ultimo elemento frutto di continui interrogativi è l’ambientazione storica priva di continuità e di indizi di collocazione. Sia gli abiti, che le location che gli oggetti utilizzati provengono da almeno tre epoche diverse, il che conferisce al film una sorta di posizione vaga e eterea che dona un senso di perdita cardinale allo spettatore.