The Warrior

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The WarriorTra le numerose rivoluzioni sperimentate con alterno successo da Tsui Hark nel corso di trent’anni di carriera c’è stato anche il tentativo plurimo di ridare vita, o almeno una spinta incisiva, alla rinascita dell’animazione cinese. Aveva già dato un contributo più che significativo con il buono A Chinese Ghost Story – the Tsui Hark Animation, parzialmente con il Master Q e con l’episodio animato del film collettivo 1:99 ed ora ci prova ancora con questo prodotto d’animazione da 30 milioni di yuan, The Warrior, a cui il maestro ha messo mano sotto molteplici mansioni. Ci troviamo in una fase recente della sua carriera, quella più “pittorica”, relativa alla scoperta e utilizzo delle nuove tecnologie digitali. Tsui, abile disegnatore e illustratore, nel tempo ha scoperto la passione della colorazione digitale, lavorando amichevolmente per altri artisti -anche italiani- come per il Sophia di Adriano De Vincentiis (già suo storyboarder e visual designer). Il gusto per alcuni colori e per la loro fusione eterea ho portato ad un filo conduttore cromatico che si è mosso in molte delle sue ultime produzioni da Legend of Zu fino a questo film. D’altronde l’infinita creatività del regista e il suo non possedere tecnologie adeguate alla propria vulcanica inventiva l’hanno portato più volte ad ipotizzarsi come ideale regista d’animazione, arte parallela in cui le possibilità narrative di un autore sono pressoché illimitate, non avendo vincoli legati né alla fisicità dell’attore né ai movimenti di macchina. Non poteva quindi farsi sfuggire un’occasione del genere anche perché il protagonista del film è nientemeno che un giovanissimo Wong Fei-hung in versione super deformed (alla Akira Toriyama), già interpretato dal vivo da Jet Li nella sua saga di Once Upon a Time in China.

Fattore ulteriore (di dubbia efficacia) è l’avere reinventato e totalmente modificato l’epica del personaggio infilandolo all’interno di un universo fantasy cromaticamente accecante. Certo, in questo modo si aprono ulteriori possibilità narrative ma si corre il rischio di non avere un giusto riscontro dai fans puristi del personaggio. Inoltre a spalleggiare il regista c’è una casa di produzione abbastanza farlocca, la My Way Film (Shaolin VS Evil Dead, Snake Charmer), responsabile di prodotti in cui l’intervento forzato e scarsamente competitivo del digitale prende il sopravvento su una narrazione già di suo poco fine. Se è vero che il 3D dona maggiori possibilità al prodotto, la sua scarsa iterazione con l’animazione tradizionale stride spesso oltre i livelli di guardia. Così alla fine i momenti più interessanti risultano le sequenze marziali, coreografate (dicono) dallo stesso Tsui Hark e la lieve filologia con la saga originaria; la presenza del macellaio Porky Lang, gli stranieri invasori come villain e un ottimo character design.

Tant’è che a Tsui si deve la rimodellazione dei cattivi inizialmente definiti troppo banali e privi di mordente.
Progetto ambizioso, più interessante sulla carta che nella realizzazione che purtroppo non riesce ad essere all’altezza del film, penalizzato dal pressappochismo rumoroso della casa di produzione.
Anche la scrittura sembrerebbe accreditata a Tsui Hark e in effetti così sembra trasparire da alcune invenzioni come una specie di fortezza aracnoidale semovente che ricorda il palazzo fantasma di A Chinese Ghost Story 3.
Ovviamente ottimo il personaggio femminile, triste, forte e crepuscolare come tante creature femminee del maestro e placidi e sereni gli stacchi bucolici che accolgono echi miyazakiani.
Le musiche erano state iniziate da James Wong, ma la sua improvvisa scomparsa ha fatto si che il lavoro fosse poi completato da Peter Kam Pau-tat.
Purtroppo una delusione in cui la mano del maestro emerge in modo timido regalando sequenze suggestive, ma penalizzate da una tecnica e tecnologia non all’altezza.