Volpe Volante della Montagna Innevata


Volpe Volante della Montagna InnevataIn un frasario dedicato alla lingua cinese, di recente uscita (2005), ad un certo punto vengono presentate frasi di uso comune relative ai libri; una di queste è “avete un libro di Jin Yong?”. Questo solo per sottolineare l’entità dell’autore presentato. E’ un evento la pubblicazione di questo libro, e un evento assolutamente da supportare, visto l’assoluto ritardo nazionale nella sua scoperta e pubblicazione. Finalmente abbiamo la possibilità di leggere –in traduzione diretta (a vale la pena ricordarlo sempre)- un testo straordinario, consigliato a chiunque e imprescindibile per gli appassionati del cinema di Hong Kong e soprattutto del genere wuxiapian.

Non sta a noi sottolineare di nuovo chi sia l’autore e quindi riportiamo le parole del traduttore del testo contenute come postfazione del romanzo:

“Il più famoso scrittore di “wuxia xiaoshuo” è senza dubbio Louis Cha, più noto sotto lo pseudonimo di Jin Yong, autore di quindici romanzi editi tra il 1950 e il 1972, anno in cui decise di smettere definitivamente di scrivere per dedicarsi alla revisione delle sue opere e all’attività di giornalista presso il quotidiano di Hong Kong “Ming Pao”, da lui fondato nel 1959. Da quando ha iniziato la sua attività fino a oggi, Jin Yong ha venduto in tutto il mondo più di trecento milioni di copie (più di un miliardo se si considerano le stampe illegali che circolano da sempre sul mercato cinese). Dal 1970 ha fatto parte del Comitato di Redazione del “Testo di Legge Fondamentale della Regione Amministrativa a Statuto Speciale di Hong Kong della Repubblica Popolare Cinese”, che avrebbe regolato nel 1997 il ritorno della colonia inglese alla madrepatria, organo da cui si dimise nel 1989 per protesta contro la strage di Tiananmen perpetrata dal governo cinese. È stato inoltre insignito di diverse onorificenze e cariche accademiche in molte università sia in Cina che all’estero e oggi, alla veneranda età di ottantadue anni, quando la Cambridge University lo ha invitato per conferirgli un laurea ad honorem, ha pensato bene di trasferirsi in Gran Bretagna per meritare davvero il titolo che gli era stato offerto, studiando regolarmente per quattro anni come previsto dal corso. Una scelta del genere, al mondo d’oggi, lo fa proprio sembrare un po’ come uno dei suoi personaggi, un antico cavaliere errante, legato a vecchi, polverosi ideali di onore, di giustizia e di lealtà di cui si sente tanto la mancanza, in Cina come da noi”.

Tornando a noi vale la pena citare come dai suoi romanzi siano stati tratti decine di film del calibro di Swordsman, Ashes of Time, The Eagle Shooting Heroes e serie Tv come la classica The Legend of the Condor Heroes, e di come abbia influenzato tutto un modo di concepire il genere.

Leggendo il testo, infatti, un mondo nuovo si spalanca al cultore del cinema wuxia. Si riesce così a capire come si sia arrivati ad una coreografia marziale come quella di Ching Siu-tung, visto che già il testo letterario è così ardito, forse ancora più irruente della traduzione su pellicola. Colpi segreti, personaggi eroici dai mirabolanti poteri, monaci, guerrieri, il tutto spiegato con perizia certosina, dal più semplice colpo di spada alla inusuale “tecnica della leggerezza”, responsabile dei mirabolanti voli propri del cinema wuxia.

Dopo una prima parte molto vivace l’autore raduna una massa corale di personaggi in un luogo e li lascia preda delle proprie confessioni. Si snoda così un labirinto contorto e complesso di flashback e sottotrame, parziali, verosimili, piegate alle esigenze di ogni narratore e che tutte insieme formano “una” verità. Se spesso ci si lamenta dell’eccessiva tendenza corale e delle infinite sottotrame del cinema wuxia (e non solo di quello) sappiamo così che è prerogativa dell’origine letteraria. La storia è puntellata di continui e mirabolanti duelli, e al contempo –come nei corrispettivi filmici- è continuamente interrotta da sequenze ironiche, violenza estrema e un melodramma intenso abbracciato candidamente al classico senso dell’onore cavalleresco che ha fatto la fortuna di tanto cinema di Hong Kong, non necessariamente wuxia.

Elemento che può lasciare l’amaro in bocca, è il finale aperto voluto dall’autore che –di nuovo- ha dei precisi riflessi nel cinema di Hong Kong, quando il film si ferma prima del climax lasciando solo intuire o fantasticare lo spettatore sui successivi avvenimenti. Qualsiasi altra parola avrebbe sminuito le gesta degli eroi e quindi l’autore opta per una sospensione dell’azione. Scelta solitamente impossibile all’interno delle teorie della drammaturgia occidentali.

La traduzione italiana adatta quasi tutto, nomi e colpi segreti inclusi, in quella che può sembrare una scelta discutibile; da una parte ha poco senso e può essere una forte barriera per un lettore di passaggio. Dall’altra è un metodo di impatto per catapultare con forza il lettore in un universo, illuminandolo su tanti perché relativi anche ai film del genere. Questo sarà il pubblico a giudicarlo.

Il testo è e rimane un’opera straordinaria che materializza colui che decide di affrontarla in un universo storico straordinario pervaso da una cultura altra, e da personaggi scolpiti nella roccia. Imprescindibile è l’unica parola utilizzabile in questo caso. L’Italia ha la possibilità finalmente di (ri)scoprire un grandissimo autore. Ne sarà riconoscente? Speriamo di si e speriamo in una futura pubblicazione di un altro volume simile.

Altro materiale ufficiale:

Le arti marziali rappresentano un elemento estremamente importante e spesso sottovalutato della tradizione cinese. Noi occidentali siamo abituati a considerarle solo come un evento sportivo o come un genere cinematografico di terz’ordine, ma in realtà sono un vero e proprio fenomeno sociale e culturale profondamente radicato nel costume cinese. È per questo che costituiscono anche uno degli elementi portanti della loro epica cavalleresca. E del resto echi della cultura e della filosofia sottesa alle arti marziali si ritrovano anche in opere famose della letteratura classica: nel “Sanguo zhi yanyi”, il “Romanzo dei tre Regni”, vengono narrate le gesta di valorosi eroi e capi militari come Liu Bei, Guan Yu e Zhang Fei; nello “Xiyou ji”, “Memorie di un Viaggio ad Occidente”, lo scimmiotto e i suoi compagni si battono in acrobatici duelli e affrontano mostri di ogni genere; e soprattutto nello “Shuihu zhuan”, “Sul bordo dell’acqua”, in cui i protagonisti sono proprio un gruppo di banditi, tutti esperti di arti marziali, che si dà alla macchia per riparare i torti e le ingiustizie commesse dai potenti e dai funzionari corrotti.

Inoltre non si può non tener conto della rilevanza che hanno avuto le varie scuole di arti marziali nella storia della Cina. Quando il Palazzo o le autorità provinciali si dimostravano incapaci di gestire il potere perpetrando uno sfruttamento sistematico e spietato nei confronti dei contadini e delle classi più povere, scoppiavano inevitabilmente le rivolte dietro le quali c’erano, quasi sempre, Società Segrete o bande di briganti guidate da maestri di arti marziali. Del resto il kung fu, come viene chiamato da noi, era un arma micidiale e a buon mercato alla portata di tutti, indipendentemente dalla classe sociale e dalla ricchezza posseduta; spesso diventare un campione nella pratica del combattimento rappresentava una valida alternativa a una vita di miseria e di stenti. Bisognava però dedicarsi con impegno e dedizione agli allenamenti, sempre massacranti, e seguire i precetti filosofici e religiosi che costituivano il patrimonio delle grandi scuole tradizionali.

Ecco perché questa pratica è sempre stata guardata con sospetto dalle autorità e, soprattutto sotto alcune dinastie, è stata considerata un pericoloso strumento di sedizione a disposizione dei rivoluzionari che lottavano per sovvertire il regime, un’arma non solo concreta e reale, ma anche spirituale, capace sì di spezzare le ossa, ma pure di penetrare efficacemente le coscienze degli adepti, soprattutto per merito del retaggio taoista e buddista, spesso fortemente antistatalisti, che ne costituivano il sostrato filosofico e culturale. È probabilmente per questo motivo che anche sotto il maoismo le scuole tradizionali sono state messe al bando e tutti i monasteri, che ne erano spesso i principali centri di diffusione, sono stati chiusi, mentre i vecchi maestri e gli ultimi capiscuola, dopo il 1949, sono stati costretti all’esodo nelle colonie cinesi all’estero e a Taiwan, Hong Kong e Singapore.

Solo da pochi anni si è assistito a un’inversione di tendenza: oggi, in epoca di mercato mondiale, le scuole e i monasteri vengono riaperti perché si è capito che rappresentano una forte attrattiva turistica. Del resto la riscoperta delle arti marziali e dei valori tradizionali, in primis del confucianesimo di stato, messa in atto dall’attuale classe dirigente, per il momento si è rivelata soltanto un’abile manovra strumentale alla salvaguardia del regime e dello status quo postcapitalistico, utile e necessaria a fornire un bagaglio ideologico alla vasta classe media borghese, formata da milioni di nuovi potenziali consumatori, che sta nascendo in questi anni a scapito delle classi inferiori, operai, contadini e sottoproletari, condannati a vivere in condizioni di miseria e sfruttamento senza precedenti, i veri artefici, col loro lavoro sommerso, del grande balzo in avanti della Cina di oggi.

Esaminando la produzione cinematografica degli ultimi anni appare evidente come ormai il cinema cinese domini i circuiti mondiali e trionfi nei festival internazionali; anche in molte città italiane, in tempi recenti, si sono moltiplicate le rassegne ad esso dedicate. Ebbene tre dei film cinesi più famosi usciti in Italia tra il 2005 e il 2006, Hero e La Foresta dei Pugnali Volanti di Zhang Yimou, e Seven Swords, di Tsui Hark, senza contare La Tigre e il Dragone, di Ang Lee, vincitore nel 2001 di quattro premi Oscar, si ispirano dichiaratamente ai “wuxia xiaoshuo”. Sono i figli legittimi di uno specifico genere cinematografico e televisivo che in Cina è sempre andato per la maggiore: il wuxia pian o cinema di arti marziali che deriva direttamente dai romanzi storici di cui si è detto.

Una caratteristica tipica del ”wuxia xiaoshuo” è la serialità: la storia non si esaurisce in un solo volume, ma spesso prosegue in una saga che si prolunga per almeno tre o quattro tomi, così il lettore che si appassiona alla vicenda ne finisce uno e resta in sospeso, aspettando con ansia di leggere il successivo per sapere come andrà a finire. Si tratta di un espediente narrativo tipico della letteratura classica, così come i brevi riassunti che introducono all’azione, all’inizio di ogni capitolo, le citazioni di versi tratti da famose opere poetiche del passato, la presenza di un gran numero di personaggi, protagonisti e comprimari del racconto.

Anche lo stile, almeno nel caso di Jin Yong, riprende in parte le caratteristiche di certa letteratura colta: le reiterazioni, l’uso di certe espressioni auliche e antiquate, l’infinita serie di nomi e soprannomi altisonanti dei personaggi, sono tutti espedienti che hanno lo scopo di immergere il lettore nell’atmosfera antica e rarefatta dell’epoca in cui si svolge l’azione. Anche i continui riferimenti alle tecniche e alla terminologia delle arti marziali, della medicina cinese e dell’agopuntura, e le citazioni filosofiche, che attingono a piene mani dal patrimonio taoista e buddista, contribuiscono a ricostruire un quadro non solo storico, ma anche culturale, di quella che era la tradizione cinese prima dell’ultimo disastroso incontro con gli occidentali di due secoli fa e prima della rivoluzione maoista.

Dalla postfazione di Flavio Aulino

Traduttore di Volpe Volante della Montagna Innevata