Anurag Kashyap


Regista, produttore, sceneggiatore

Anurag Kashyap è uno dei più rilevanti autori dell’India del presente; regista di film ormai acclamati come Ugly, Raman Raghav 2.0, Gangs of Wasseypur, Dev.D, Black Friday, sceneggiatore di classici come Satya di Ram Gopal Varma, produttore di titoli perturbanti come NH10, ha ormai una carriera alle spalle composta da quasi 100 titoli sotto molteplici mansioni. 

Abbiamo intervistato l’autore a Firenze durante il River to River Florence Indian Film Festival, dove portava due film (Dobaaraa e Almost Pyaar), accompagnato dall’attore Karan Mehta e dove ha vinto il premio del pubblico con Dobaaraa.
L’intervista che state per leggere include un paio di domande poste durante la conferenza stampa insieme ad altri colleghi. Il resto è frutto di un’intervista successiva face-to-face raccolta in albergo e quindi totalmente unica e inedita, pubblicata qui per la prima volta. 

Purtroppo i tempi a nostra disposizione erano estremamente limitati e non abbiamo potuto approfondire quanto voluto alcuni temi di particolare rilevanza. Li teniamo da parte per la prossima volta integrando l’intervista con alcune note di approfondimento. 

 

 

Asian Feast: Riguardo il suo recente film Dobaaraa, come le è venuta in mente l’idea di fare un remake? E cosa l’ha attratta di più dell’originale film spagnolo?

Anurag Kashyap: La prima ragione per aver fatto il remake è, come ha detto la direttrice del festival, che sono uno stacanovista e stavo passando un periodo difficile, in India, sia per mettere in produzione un film, sia con il governo. Quindi avevo il tempo, che capita forse una volta all’anno, di fare un film “cauto” e non politico. Poi, non ho mai lavorato su un soggetto simile quindi il film più cauto è il film che già esiste.
E inoltre, il vantaggio più grosso non era che io avessi già la sceneggiatura del film. La sceneggiatura del film originale spagnolo (Mirage, di Oriol Paulo, ndr) e il film stesso erano differenti: la prima era molto più forte e dettagliata e noi abbiamo iniziato a lavorare al remake, prima che uscisse il film, dalla sceneggiatura originaria.
E quando il film è uscito, molte parti si erano perse durante il montaggio, quindi fu una buona opportunità per raccontare una storia come quella per la prima volta e per farlo più nel dettaglio; fu una sfida, non l’avevo mai fatto prima. In più Taapsee Pannu (la protagonista) voleva fare quel film, è quella che me lo fece conoscere e visto che mi fido ciecamente di lei e lei ne era così coinvolta decisi di dirigerlo. Taapsee Pannu è ossessionata da Oriol Paulo (regista di Mirage, l’originale), ha lavorato a due (Badla, Blurr) su tre dei suoi remake in hindi (rispettivamente dei film The Invisible Guest e Julia’s Eyes, quest’ultimo solo sceneggiato da Paulo) quindi i film di Oriol Paulo continuano a essere rifatti in hindi con Taapsee Pannu come interprete (Blurr è uscito in India il giorno stesso di quest’intervista). 

AF: Ho visto le Black and White Interviews su ErosNow e durante quell’intervista lei ha detto di seguire una religione con tanti Dei, tante divinità, da Fritz Lang a Samuel Fuller, da Bimal Roy a Hrishikesh Mukherjee o Martin Scorsese che è il suo favorito. Lei ha anche detto che ci sono alcune divinità che sono nate dopo di lei, potrebbe fare qualche nome? 

AK: Diversi giovani cineasti: Anthony Chen, Fatih Akin, Damien Chazelle. E Julia Ducournau, lei è molto motivante per me. Ci sono un sacco di giovani cineasti che continuano a emergere e sono ispirato da molti. E credo davvero che Lo Chiamavano Jeeg Robot sia uno dei migliori film con super eroi fatti ovunque. Jeeg Robot è uno dei migliori film con super eroi mai visti, migliore di qualsiasi film della Marvel. 

AF: Riguardo le sue influenze, è risaputo il suo gradimento per Kinji Fukasaku. Quanto di Kinji Fukasaku c’è in Gangs of Wasseypur?

AK: C’è tanto Fukasaku in molti dei miei film.

AF: Il primo film a cui lei ha lavorato è stato Satya (1998) che lei ha co-sceneggiato. Lei ha detto di aver imparato tutto da quel film e anche da Ram Gopal Varma (il regista, ndr). Che tipo di impatto ebbe Satya nella produzione cinematografica indiana? Quanto fu importante? 

AK: In India Satya è considerato estremamente seminale, un film molto importante perché non soltanto rappresentò un esempio totalmente nuovo di cinema che inspirò molti cineasti contemporanei ma ci recitarono anche tanti nuovi attori. Ram Gopal Varma, un cineasta rispettato, per la prima volta lavorò con molti nuovi attori. Il modo in cui venne e mi prese a bordo, contro tutti i pronostici, unito al successo del film definì il modo in cui tanti cineasti come Sriram Raghavan, Shimit Amin e anche io abbiamo iniziato a fare film. Per me fu differente perché ne fui lo sceneggiatore, l’aiuto regista, il casting. Feci di tutto e lui mi insegnò tutto. Fui anche regista della seconda unità.

AF: Rimanendo su Ram Gopal Varma, ho visto la video intervista su You Tube nella quale critica apertamente The Kashmir Files. In pratica dice che The Kashmir Files ha rotto tutte le regole del cinema in India. Come è successo? 

AK: The Kashmir Files è tipo un film di propaganda che ha fatto tutto quello che il cinema indiano non dovrebbe fare. Ha funzionato perché interpretato da tanti caratteristi, attori televisivi ed è stato realizzato con un budget molto basso. E ha usato il modo di fare film in bianco e nero dove i musulmani sono i cattivi e gli hindu sono le vittime. È stato realizzato davvero “drammaticamente” e ha funzionato al botteghino perché la gente ha voluto crederci.  Quindi, ha rotto le regole, nel senso che i cineasti, quando si diventa cineasti e si fa un film, ci si assume la responsabilità della verità. Quando si fa un film su un evento reale, si documenta la verità. Ma The Kashmir Files non l’ha documentata, l’ha drammatizzata. È stato manipolatorio. E perché un sacco di persone l’hanno visto, è diventato un enorme successo. Questo è il motivo. Quello che voglio dire è che ha rotto le regole stando nelle regole ed è diventato un successo di massa. Non ha niente di popolare che ha il cinema indiano. Nessuna super star, canzoni o balli… 

AF: …Escluso Mithun Chakraborty…

AK: La sua carriera è terminata, è finito. 

AF: Ed è anche uno di loro, milita nel BJP (Bharatiya Janata Party) [1]
Parliamo del presente e il futuro del cinema d’azione in India che, a parer mio, produce i migliori film d’azione al giorno d’oggi. Mi riferisco a RRR, Pushpa, K.G.F. 1 e 2 e altri titoli simili. Quale pensa sia il futuro del cinema d’azione a livello internazionale, dopo che questi film sono diventati un fenomeno globale?

AK: In India non ci servono film con super-eroi perché ci aspettiamo che i nostri attori debbano essere dei super-eroi senza una maschera. Credo che l’occidente abbia scoperto RRR in maniera molto marcata e sentita come hanno scoperto Baahubali ed Eega.
Il senso del meraviglioso (“the incredulity of storytelling” nella risposta fedele del regista, ndr) della narrazione di storie in India è qualcosa che è diventato affascinante per chiunque. E anche Vikram, un grosso film d’azione è stato un enorme successo. Così come il recentissimo Brahmāstra.
Credo che l’India sia geniale perché produce film, canzoni e balli insieme. I nostri film d’azione saranno grossi titoli. Per l’occidente è una novità e la scoperta aiuta anche il cinema mainstream indiano allo stesso tempo.

AF: Come crede che cambierà il modo di fare film d’azione in occidente e al di fuori dell’India? Perché in ogni decade, c’è almeno un film d’azione, un successone che plasma gli altri che seguono, è come dire che è il film da cui gli altri copiano. Io credo che adesso l’India produca i migliori film d’azione perché Hollywood, a parte super-eroi, non produce nulla d’azione se non i remake.

AK: Credo che S. S. Rajamouli (regista di RRR e Baahubali, ndr) dovrebbe fare il regista di un film Marvel, dovrebbe dirigere un film della DC o della Marvel perché lui ha tante idee incredibili ed è geniale in quel senso. Io credo che per i film indiani d’azione sarà come quella volta che Shekhar Kapur andò a Hollywood e diresse Elizabeth. Usò l’emozionante melodramma dell’India e il film venne nominato agli Oscar.
Sapete, la base, il cuore dei film indiani sono le emozioni, e io credo che usando quella caratteristica andando all’estero per fare film d’azione, cambieranno sicuramente le carte in tavola perché i film d’azione in occidente sono davvero privi di emozioni. È soltanto business, non c’è un’essenza emotiva che è ciò che, credo, i cineasti indiani porteranno in occidente. Poi cambierà tutto.

AF: Ho una domanda su Gangs of Wasseypur, c’è un dialogo specifico, pronunciato da Ramadhir Singh che recita circa così: “ho fatto uccidere suo nonno, uccidere Sardar e anche Danish ma sono ancora vivo. Perché? Perché non guardo film di Bollywood. Una volta i miei amici guardavano Ganga Jamuna e volevano essere come Dilip Kumar. Poi è arrivato Amitabh Bachchan. E in questi giorni c’è Salman Khan. Ogni stronzo si fa il suo film in testa. Ogni stronzo cerca di essere l’eroe del proprio immaginario film. Vi giuro che finché ci saranno dei cazzo di film in questo paese, la gente continuerà a essere presa in giro”. Quindi la mia domanda è: quando in occidente vengono fatti film di mafia, gangster o della malavita c’è una grossa componente del pubblico che mitizza quel tipo di stile di vita. Lei è stato chiaro che quelli sono i malvagi, c’è persino una canzone specificatamente contro Faizal Khan. Quindi, come crede che il pubblico abbia recepito questo aspetto di Gangs of Wasseypur?

AK: Il pubblico indiano venera tutto ciò che è contro l’autorità, inclusi partiti formalmente “anti casta”. Infatti venerano i nostri primi ministri e anche il governo che gioca sporco in politica. Si divertono, per loro è un gioco. Quindi quello che succede in India è che al pubblico piace vedere le persone potenti che vengono sconfitte. Chiunque sia in una posizione di potere, di privilegio e viene distrutto, viene sconfitto, rende felice il pubblico indiano che adora tutto questo perché è un paese sovrappopolato. A loro piacciono più le persone che crollano piuttosto che lo sfavorito che vinca. Quello è il perché loro mitizzano antieroi e gangster e persone simili perché loro non sono privilegiati. 
Loro vogliono elevarsi, gli piace seguire le persone privilegiate (questa risposta fa riferimento ad una caratteristica culturale locale che si evince anche da molti film: il patteggiare popolare verso i potenti (positivi o negativi) nella recondita speranza di vederli decadere al fine di poterli impersonare e sostituire nella scala sociale, nel bene o nel male). 

AF: Riguardo l’attore Nawazuddin Siddiqui che lei ha diretto più volte, quale è stata la più grande sfida nell’interpretare i suoi personaggi tra Faizal Khan (Gangs of Wasseypur), Ramanna (Raman Raghav 2.0) e Gaitonde (Sacred Games)?

AK: Ramanna. Fu molto difficile per lui emotivamente, molto difficile. Venne ricoverato durante le riprese del film perché divenne ossessionato dal personaggio. Quindi Gaitonde e Gangs of Wasseypur furono molto più facili rispetto a Ramanna perché stava interpretando un personaggio che richiedeva una preparazione psicologica tale che finì in ospedale; fu di maggiore impatto su di lui. Ramanna fu sicuramente il personaggio più impegnativo.

AF: Intendevo chiederle se Gaitonde è come un tributo, una menzione ad Agneepath. Gaitonde fu il commissario di polizia in Agneepath. 

AK: Gaitonde viene dal libro, deriva completamente dal libro di Vikram Chandra (alla base della serie tv).

AF: Perché lei crede che i film indiani, sebbene disponibili su diversi piattaforme di streaming online, non abbiano una distribuzione appropriata, come i film di Hong Kong e coreani? Molti film non hanno nemmeno un rilascio in blu-ray. 

AK: In India non importa dei blu-ray perché in India il pubblico guarda i film sui cellulari e li scaricano. E la qualità non importa a nessuno per cui è molto difficile per noi cineasti, perché dobbiamo davvero lottare per ottenerla. Lottiamo affinché i nostri film siano preservati in blu-ray e sulle migliori piattaforme online ma è molto, incredibilmente difficile e comunque il pubblico indiano guarderà il film dovunque, la qualità non gli importa finché c’è un traccia audio e una video; la qualità a loro non interessa. Questo è il perché. Vedete, stiamo cercando di restaurare il patrimonio del cinema indiano; c’è un cineasta di nome Shivendra Singh Dungarpur che lavora con Scorsese e cerca di restaurare i film. È molto difficile per lui trovare film, ha soltanto restaurato qualche titolo di Amitabh Bachchan e Dilip Kumar ma è parecchio difficile per lui trovare le copie (originali in pellicola, ndr) da restaurare per il cinema.[2] 

AF: Questa mattina ho menzionato le Black and White Interviews dove lei ha anche detto che le piacciono, che preferisce personaggi femminili forti piuttosto che quelle della porta accanto. Abbiamo visto ad esempio Kalki Koechlin in Dev.D e Sacred Games; è questa la sua definizione di forti personaggi femminili? 

AK: Sì, mi piacciono le donne forti, mi piacciono le donne che possiedono sé stesse, mi piacciono le donne che posseggono la loro sessualità, che hanno il controllo su tutto ciò che le riguarda, che dicono quello che pensano e si battono per loro stesse. E quelle sono il tipo di persone da ammirare perché l’ India propaganda che le donne siano remissive, servili verso l’uomo e verso tutti; questo non mi piace, l’ho visto da vicino e mi piacciono le donne forti. Questo è il perché i miei personaggi femminili sono donne forti perché le donne forti sono quelle a cui mi piace parlare. 

AF: Lei è un grande conoscitore del cinema e dei cineasti. La redazione, me compreso, adora Aleksei Balabanov. Lo conosce? Cosa ne pensa?

AK: Adoro i suoi film. Mi piacciono molto Brother, il sequel e Dead Man’s Bluff. 

 

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[1] In realtà, The Kashmir Files è inserito in un percorso di propaganda hindutva (nazionalismo hindu, fondato da Vinayak Damodar Savarkar nel 1923) che si insidia all’interno del cinema indiano, sia nazionale che, probabilmente, anche regionale sin dall’epoca dei film in bianco e nero, come detto anche dal regista. Più recenti film come Kesari (2019, fonte 1 e 2), Manikarnika: The Queen of Jhansi (2019), Pawankhind (2022), Hindutva (2022) e Samrat Prithviraj (2022) con il sempre presente Akshay Kumar sono alcuni dei titoli che rientrano nella dualistica visione del cinema descritta da Anurag Kashyap. Ad Akshay Kumar, uomo immagine hindutva nel cinema, che si ricorda di avere anche la cittadinanza indiana solo quando deve creare odio inter religioso e divisioni all’interno della società (fonte 1 e 2) si contrappongono numerosi attori e attrici, tra cui Aamir Khan, Salman Khan, Kareena Kapoor e Tapsee Pannu, odiati e boicottati dai nazionalisti hindu. La differenza tra i film citati e The Kashmir Files è la vittimizzazione degli hindu nell’ultimo piuttosto che la barbarizzazione dei musulmani tra cui l’indegno Kesari. Fra l’altro, il regista di The Kashmir Files, Vivek Agnihotri recentemente ha preso di mira, in una dichiarazione, proprio Anurag Kashyap, definendolo il capo (sigh!) della lobby negazionista dell'(apparente) genocidio (fonte). Sarebbe stato particolarmente interessante approfondire ed espandere con il regista questa parte, ma è stato impossibile per i motivi già citati in testa. 

[2] Riguardo la distribuzione home video, la nostra domanda includeva il mercato estero, come le inglesi Arrow Videos, Eureka e la 88 Films fanno con il cinema di Hong Kong ma abbiamo dovuto omettere per mancanza di tempo.

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