Satō Hisayasu


Regista

Noto come uno dei quattro imperatori del pink eiga (insieme a Kazuhiro Sano, Toshiki Satō e Takahisa Zeze), con un enorme filmografia alle spalle spesso dedicata al cinema dell’estremo, con uno stile robusto e ricercato è noto in occidente soprattutto per il suo indimenticabile e devastante Naked Blood. Persona piacevole e disponibile si rivela ai nostri microfoni in una lunga intervista che verteva principalmente sul film Rampo Noir (presentato nel corso del 8° Far East Film Festival 2006 in cui abbiamo intervistato l’autore) ma strabordando rapidamente su altri temi come il pink, il roman porno, il sesso, la violenza, il sistema cinematografico giapponese, la letteratura di Edogawa Rampo.

Asian Feast: Volevamo iniziare dal chiederle un’opinione personale sugli adattamenti di Edogawa Rampo. Magari è cosa risaputa, ma abbia notato come nel mettere in scena le sue storie, considerando anche Gemini o Black Lizard, c’è sempre una ricerca quasi esasperata verso un’immagine esteticamente bella e visionaria. Questo dipende solo dal fatto che le opere sono di per sé visionarie e grottesche o dipende dalla volontà stessa degli autori di trovare un’immagine così ricercata, visto che anche la loro opera sembra più votata alla ricerca estetica che alla narrazione?

Sato Hisayasu: Sin da bambini abbiamo letto le opere di Edogawa Rampo come i racconti polizieschi oppure tutte quella serie di storie legate al criminale dai venti volti; quindi nella nostra mente si è creata una certa immagine mentale sin da quei tempi. E` un’immagine legata al mondo delle oscurità, delle tenebre, un’immagine che definisce di suo una particolare fascinazione per certe cose. Un’immagine di suo “cinematografica”. In qualche modo le storie che sono state rappresentate ieri (durante la proiezione, ndr) in Rampo Noir sono legate fondamentalmente a Kenji, all’investigatore e in ogni caso sono delle storie difficili da rappresentare. Si è cercato di costruire queste scene in modo che richiamassero l’immaginazione, la nostra immagine mentale, anche se da un lato c’è il tradimento necessario di quell’immaginazione che viene da un libro, perché è ovviamente difficile renderla uguale, poiché singola per ogni persona che legge un libro. La cosa essenziale però è che volevamo fare delle scene che fossero d’impatto ed è questo il principale motivo per cui abbiamo operato certe scelte.

AF: Volevamo anche fare una domanda generale sui suoi lavori. Lei ha fatto tantissimi film e uno dei temi principali resta sempre il sesso legato alla violenza e alle mutilazioni. Uno di questi per esempio è Naked Blood, che è ben famoso in occidente, e volevamo sapere se questa scelta è dettata dal volersi identificare come autore di certo cinema oppure se, come frutto della sua esperienza nel campo del pink, l’atto sessuale in sé sia in qualche modo legato alla violenza.

SH: Prima di tutto vorrei parlare della mia posizione e della mia esperienza all’interno del genere pink. Da ragazzo ho sperimentato quel periodo di protesta giovanile che era legato all’epoca. Vedevo film legati per esempio a Wakamatsu Koji o Takahashi Banmei, ma non ho visto quei film nel momento in cui sono stati fatti. Erano film in cui il sesso era solo ed esclusivamente sesso. Alla fine era noioso, non aveva particolare interesse. Successivamente emersero i Roman Porno. Con il Roman Porno ho trovato un luogo in cui far funzionare le mie cellule cerebrali e non solo la funzione corporea confinata al sesso. Per questo mi interessò tantissimo e poi nella fase successiva, quando ero ancora studente provai a fare un film. Ne realizzai uno in 8 mm, provai come indipentente e lì mi accorsi della necessità di avere una propria visione del mondo, un proprio stile nel fare film, di mettere in scena dei temi che fossero assolutamente miei e riconoscibili.

Per quanto riguarda il rapporto tra sesso e violenza, ho sempre sentito molto forte la mancanza di comunicazione o la “violenza” nella mancanza di comunicazione che c’è tra individui nella società giapponese, per cui da un lato c’è come gli altri mi vedono e dall’altro la difficoltà di poter stabilire davvero un rapporto con le persone. Per esempio in Giappone c’è una certa paura di fissare lo sguardo dell’interlocutore, perché nel fissare lo sguardo dell’interlocutore viene percepita una sorta di violenza. Io invece vedo questa come una sorta di violenza, ovvero il fatto di non poterlo fare. Anche nei confronti di una persona che si ama si ha difficoltà a comunicare. Si parla di discomunicazione, non di comunicazione, perciò penso che questo rapporto tra società e individuo sia un problema veramente grosso, che cerco sempre di rappresentare nei mie film. Quello che appare come violenza è questa forma di  frattura che c’è tra me e  il mondo, tra me e la società, il fatto che via sia una netta separazione tra i due ed è impossibile rientrare. Anche la nudità nel rapporto sessuale ha il significato di staccarsi dal mondo, perché non vi è più il vestito che ha una forte connotazione sociale. Staccarsi dal mondo per trovare un amore più profondo che non è possibile a livello sociale, visto che nel rapporto nella società questo amore viene precluso da una violenza che è «sociale». Quindi il rapporto sessuale rappresentato in questo modo sta ad indicare un tentativo di comunicazione in amore che è ben più profondo di quello a livello sociale.

Ad esempio in Naked Blood c’è questa ragazzina protagonista la cui immagine è rappresentata in qualche modo dal cactus. Questo cactus ha spine che puntano verso l’esterno ed è esattamente quel che volevo. Se lei non avesse queste spine, non potrebbe vivere.

AF: Volevamo poi porre una domanda sul suo ruolo. Lei è considerato uno dei quattro “imperatori” del pink, perciò volevamo sapere se per voi quattro è solo un epiteto o se esiste una certa comunicazione tra voi. E poi un parere generale su tutti e uno più particolare su Zeze Takahisa.

SH: Adesso la casa di produzione più importante dei Pink Eiga è la Kokuei. E` la casa che ha praticamente esportato quasi tutti i film di noi quattro «imperatori». La casa di produzione di Zeze è invece la Shishi Production. Io in realtà ho avuto una collaborazione abbastanza stretta con lui per tre anni, perché l’ho avuto come assistente alla regia. La differenza di età è molto piccola, c’è un solo un anno tra noi, quindi abbiamo un rapporto molto stretto. Siamo chiamati così perché i nostri film sono caratterizzati, sono film che ci rendono riconoscibli, perché sono fatti esclusivamente da noi. Ed è questo il motivo che ci rende differenti dagli altri. Ad ogni modo capita spesso che ci si incontri tra di noi e si parli assieme, si scherzi.

AF: Volevamo chiedere su Rampo Noir quale sia il legame tra gli episodi. Vediamo all’inizio di Imomushi il personaggio di Ryuhei Matsuda in uno specchio e viene subito l’episodio di Jissoji che è totalmente incentrato sugli specchi, sullo sdoppiamento dell’identità. Per questo volevamo capire se questa sorta di tema di Narciso che si propaga nel film giochi qualche ruolo per l’autore e poi se vi fosse una certa consapevolezza di un regista rispetto all’altro nel girare gli episodi. Quanto ognuno di loro era a conoscenza di quel che veniva fatto dall’altro? Quali sono i legami tra l’uno e l’altro?

SH: Abbiamo lavorato con staff diversi, con degli script diversi, quindi siamo stati indipendenti in quasi tutto. L’unica cosa che ci ha collegato è stato il produttore, un produttore abbastanza giovane che era comune per tutti, ma abbiamo lavorato parallelamente senza sapere nulla. E infatti anche lo stile è molto diverso.

Il tema dello specchio è un tema estremamente importante in Edogawa. E` collegato con il tema del doppio, il tema dell’essere sé stessi e del non essere sé stessi allo stesso tempo. Per questo il mondo dell’aldilà non è necessariamente un mondo diverso, ma può essere visto come una sorta di dimensione parallela. C’è un legame molto stretto tra gli episodi dato da questo. L’altro tema che compare nei vari film è quella poesia che viene ripetuta diverse volte e che recita una cosa del genere: “Il mondo che si vede attorno a noi è un sogno, il mondo che invece vediamo nel sogno è reale”. C’è questo senso di capovolgimento del fronte. Quello che vediamo nello specchio è il nostro vero io o siamo noi a essere veri? Chi è più vero tra quello che è nello specchio e quello che vi è di fronte? E` quindi un tema molto forte in Edogawa Rampo, che abbiamo tutti sviluppato nei vari film.

AF: Una domanda riguardo la scelta del cast. La prima cosa che salta agli occhi è la scelta forse non casuale di Nao Omori e Asano Tadanobu, entrambi presenti in Ichi the Killer di Takashi Miike come Ichi e Kakihara. Tra loro avremmo visto molto bene nel ruolo dell’artista maledetto Asano Tadanobu, considerate anche tutte le sue attività svolte al di fuori del cinema, invece la scelta di Ryuhei Matsuda risulta lo stesso molto azzeccata. Per questo volevamo chiedere l’opinione al riguardo. E poi qualcosa circa il riferimento a questo uomo dalle 20 facce, che forse non cogliamo noi per scarsa conoscenza dell’opera di Edogawa Rampo e che viene interpretato sempre dallo stesso Ryuhei Matsuda.

SH: L’uomo dalle venti facce, in Giapponese Kaijin Nijū Mensō, è la versione nello specchio del detective interpretato da Tadanobu Asano. Quindi c’è un gioco di specchi là dove sono opposti l’uno all’altro: uno fa del male, l’altro cerca di fare del bene. Ma è in quel luogo di tenebre, quel luogo dove non si può esattamente distinguere, che c’è il gioco di specchi. Per esempio il cattivo prende il volto del detective ad un certo punto. Questo personaggio nel film si chiama Hirai Taro ed è interpretato da Matsuda Ryuhei. Rappresenta appunto lo specchio di Tadanobu.

AF: Volevamo porre una domanda specifica circa il suo episodio Imomushi in cui abbiamo notato una certa insistenza sui temi dell’amore e della guerra. 

SH: Imomushi significa crisalide, bruco. Infatti la storia tratta di un uomo che avendo perso gli arti, ha come ultimo appiglio che lo rende ancora uomo solamente gli occhi. E` una delle figure più grottesche che si trovano all’interno della produzione letteraria di Edogawa Rampo. Riguardo la guerra devo dire che questo è il punto di maggiore differenza tra la mia interpretazione cinematografica e la storia. Nella storia di Rampo c’è l’idea di questa persona che torna dalla guerra in questo modo, ma si limita al rapporto tra i due. Nel mio film emerge molto forte una chiara opposizione alla guerra, perché legata al nazionalismo, perché legata alla violenza in generale, per cui piuttosto che tornare a casa in quelle condizioni l’idea è che sia meglio questa mutilazione avvenga in casa tra due persone che si amano. Ad ogni modo la guerra è una situazione limite di estrema violenza, di estrema difficoltà, in qualche modo un veleno per l’uomo.

AF: La scelta della storia per ogni regista è stata una imposizione dalla produzione o è stato proprio lei a sceglierla. Se sì, in base a quale ragione?

SH: Si tratta di racconti della prima produzione di Edogawa Rampo. Sono racconti brevi. E sono stato io a scegliere Imomushi, che era un soggetto che volevo fare da molto tempo e a cui ero interessato particolarmente. Il mio produttore è Miyazaki, lo stesso che ha prodotto Naked Blood. E lui voleva fare un film che non era mai stato tentato prima. Ha girato diverse case di produzione, poi ha contattato gli altri registi e anche Jissoji aveva già in mente quel particolare racconto che poi ha rappresentato. Anche lui voleva farlo esattamente come nel mio caso. Invece gli altri due sono stati scelti dalla produzione. Quindi io e Jissoji li abbiamo scelti sin dall’inizio, mentre gli altri due no e in comune c’è il fatto che si tratta di racconti limitati alla prima produzione di Rampo.

AF: Si tratta di un episodio legato all’arte, per cui volevamo sapere la sua idea sull’arte, quale sia il limite tra arte estrema e follia. Questo in qualche modo si ricollega alla prima domanda sulla violenza legata al rapporto tra esseri umani.

SH: La donna pensa a quell’uomo come a una cosa di sua proprietà, ne fa un pezzo della sua collezione. Quindi c’è una dimensione di desiderio che però non preclude la parte più tenera. Per esempio dopo averlo battuto con la frusta lei cambia completamente, passa dalla dimensione del desiderio più oscuro, alla dimensione del prendersi cura del marito. Allo stesso modo il marito da un lato subisce la violenza, ma dall’altro emerge anche il suo desiderio. E` una relazione tra i due che dal punto di vista della società è strana, al di fuori dei canoni, ma tra di loro è una relazione molto profonda, che è solo loro. Sono due esseri estremamente uniti, estremamente legati, ma che sono in qualche modo distaccati dalla società. Il fatto stesso che si trovino su un isola indica questo distacco dagli altri. E qui entra in gioco il terzo, che è l’occhio malato del criminale, che se vogliamo è anche l’occhio dello scrittore o del regista. E` una relazione a due che non è sociale, ma che diventa conosciuta a causa di quell’occhio. Si instaura questa triplicità.