13 Assassini


VOTA ANCHE TU!

InguardabilePassabilePiacevoleConsigliatoImperdibile (16 votes, average: 3,50 out of 5)

13assassinsAlla fine dell’epoca Edo, tredici samurai devono tentare di uccidere un crudele signore feudale che si ritiene al di sopra di qualsiasi legge.
Il moderno jidaigeki non può che farsi attraversare dal postmoderno per poi liberarsene. E il regista migliore per un’operazione de genere è proprio il prolifico Miike Takashi con questo sorprendente rifacimento  dell’omonimo film di Eichi Kudo (1963).
Con l’ipotesto, 13 Assassini intrattiene un rapporto analogo a quello che Inglorious Basterds intratteneva con Quel Maledetto Treno Blindato. Falso remake di un’opera minore presa a simbolo di un intero filone cinematografico. Il film di Eichi Kudo è infatti speculare al cinema di Kurosawa almeno quanto quello di Castellari lo era del cinema di Leone.
La stilizzazaione Leoniana della profondità del cinema di Kurosawa passa attraverso l’etica di Sam Peckinpah, qua evocato sia nella strutturazione a climax, analoga a quella di Cane di Paglia, sia nel tripudio di violenza del Mucchio Selvaggio.
Come fece già in Audition, l’anarchico Miike divide il film in due parti complementari: nella prima l’autore si rinchiude in un film quasi neoclassico, eccezione fatta per un paio di epifanie in cui l’estro gore e grottesco del regista si rivela in tutta la sua crudezza perturbante, e nella caratterizzazione del crudele Naritsugu che, in quanto a efferatezza, non ha niente da invidiare al Kakihara interpretato da Tadanobu Asano  in Ichi The Killer. Tutta la seconda parte è dedicata alla lunghissima e straordinaria battaglia finale dei tredici assassini contro i duecento e passa bushi di Naritsugu. Miike ci si butta a capofitto con uno sguardo che si moltiplica inoltrandosi in soggettive impossibili dalle molteplici prospettive prolungate in carrellate magistrali, e frammentizzate in esplosioni diluite nel sangue, il tutto circoscritto in una città trappola, perfetta metafora del cinema di Miike.  L’azione è controllata nel suo divenire estensione deformante, trasfigurante, e la violenza è il filtro con cui Miike, da regista mai così futurista, guarda e distrugge un passato privato della Memoria che delinea il Mito, arrivando a far percepire la consistenza della morte.