A Bloody Aria

Voto dell'autore: 4/5

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A Bloody AriaMai e poi mai ci si sarebbe aspettati un cambio di direzione così marcato dal regista del gustoso ma tutt’altro che eccellente horror The Wig. Il suo esordio ha avuto il modesto pregio di sottoporre il genere ad un procedimento di maturazione mediante l’innesto di una forte componente tragico-romantica (aderendo a un certo modo tutto coreano di sentire e fare horror “altro”), senza comunque epurarlo di numerose ingenuità e risibili luoghi comuni. Segno di grande eclettismo e di maturazione, ma più probabilmente di una maggiore libertà produttiva conseguente al buon esito di The Wig, nel suo secondo e assai più convincente lavoro Won punta tutto sugli attori e su una storia semplice quanto disturbante, forte di un fascino perverso sul pubblico e di una crescente carica dinamica.

Rivelare anche il minimo dettaglio sulla trama vorrebbe dire compromettere il godimento della pellicola; basti accennare alla presenza di una coppia appartata e di una famiglia di strambi individui dalle intenzioni imperscrutabili. Una situazione di partenza che, sulla carta, lascerebbe intendere un’appartenenza al poco inventivo e bistrattato genere dello “slasher con famiglia deviata”, sulla scia dei vari Texas Chainsaw Massacre. Fortunatamente il copione di Won si tiene ben alla larga da qualsiasi prevedibilità o stereotipo, costruendo dal nulla i propri binari e reinventando il genere. In un primo momento l’impianto teatrale e la tendenza al temporaggiamento rischiano di appesantire la fruizione, mancando anche le basi per capire a fondo cosa stia realmente accadendo. Poi il sangue inizia a sgorgare e la conta di pugni e ceffoni raggiunge livelli parossistici, assicurandosi il pieno coinvolgimento della testa e dello stomaco. Mentre il ritmo si fa più incalzante, l’atmosfera viene deragliata dall’ambito comico-grottesco utilizzato in precedenza, puntando su un registro davvero insolito, una mistura di dramma-thriller che vede i precedenti personaggi assumere dei nuovi, inquietanti connotati. E il sorriso lascia il posto all’apprensione.

Per quasi tutto il film non viene dato alcun indizio utile a meglio inquadrare il comportamento dei protagonisti, nessuna attenuante che possa dare loro giustificazioni. La loro esuberante carica di brutalità esasperata li tiene sempre ben lontani da ogni tentativo di immedesimazione, facendone tuttavia dei concentrati di follia gratuita e liberatoria, tanto da finire col renderli in qualche modo simpatici, o quantomeno interessanti. Era dunque obbligatoria la scelta di attori perfetti, sia presi singolarmente che nel loro insieme, in grado di sobbarcarsi un compito tanto gravoso e controverso. Fortunatamente ogni ruolo è stato assegnato e sviluppato al meglio da un ottimo cast, con punte di pura genialità, in grado di contribuire con idee personali alla riuscita del film e disposto a girare in prima persona scene che in altri paesi del mondo non si sarebbe esitato ad affidare a più spericolati stuntmen. Imprevedibile Han Seok-gyu (Forbidden Quest, Christmas in August), che ha accettato un ruolo complesso e “bastardo” nonostante il livello di popolarità raggiunto e che, dopo l’impressionante exploit di Scarlet Letter; si riconferma attore di prima grandezza. Camaleontico Lee Moon-shik (Damo, The Big Swindle, Hi Dharma!) che ha dimostrato qui e altrove di poter affrontare a testa alta anche parti non proprio comiche. Eccezionale Oh Dal-su (The Host, A Bittersweet Life, Sympathy for Lady Vengeance) con un personaggio minorato memorabile, di una simpatia pareggiata solo dalla sua innocente cattiveria. E poi la timida Cha Ye-ryeon (Voice), il giovane Kim Shi-hu (Sympathy for Lady Vengeance), il simpatico Jeong Kyeong-ho (My Scary Girl, R-Point), Shin Hyeon-tak (Art of Fighting, Wet Dreams) e Lee Byeong-jun (All for Love, Sympathy for Lady Vengeance).

A riprova dei buoni propositi del regista di diversificarsi dalla massa e dalle mode imperanti proponendo un’idea forte e stilisticamente studiata, c’è il trattamento della pellicola in post-produzione che aumenta a dismisura i contrasti e dare al girato una patina ocra-arancio di sospensione dal mondo. Riprese dinamiche, vitali, mai fisse, che prediligono i primi piani, e quindi conducono chi guarda dritto all’interno dell’azione, a stretto contatto con quei personaggi scomodi, alienanti, asimpatetici. Accorgimenti che danno la misura di una vicenda ai confini dell’ordinario e del possibile. La nota di biasimo va attribuita semmai al reparto marketing, che non ha saputo restituire degnamente le sensazioni che il film suscita, puntando tutto su un’inesistente comicità, rivelando particolari che andavano taciuti nei trailer e allestendo dei poster del tutto fuorvianti. Un film bizzarro, brutale, ruvido, dalla forte componente innovativa e dalla imponente interpretazione corale, ma non per tutti i palati.