Accident

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Sono un po’ di anni che andiamo dicendo che Soi Cheang, insieme a Pang Ho-Cheung, rappresenta il futuro del Cinema di Hong Kong. Dunque, ritrovarci Accident in concorso in una vetrina internazionale come la Mostra del Cinema di Venezia non solo riempie di gioia i nostri cuori asian-feasters (con tutte le felicitazioni anche per il Far East Film Festival Udinese, il primo ad aver portato le opere di Soi in Europa), ma ci obbliga anche a metterci i nostri occhiali da sole migliori per esclamare un “ve l’avevamo detto”. Noi, lo sapevamo. Nonostante il flop critico di Shamo, sapevamo che le capacità viste e amate in opere come Love Battlefield o Dog Bite Dog non erano semplici abbagli, ma che anzi, erano tasselli di una poetica e di un percorso che culmina in questo Accident.
Incidenti simulati, sofisticate gang nascoste nell’ombra, deliri paranoici, tradimenti, cospirazioni cosmiche: ci sono già tutti gl’ingredienti che sulla carta rendono il film un possibile gioiello (guardacaso, uno dei due sceneggiatori è l’autore di capolavori come Exiled o A Hero Never Dies, entrambi di Johnny To, qui in veste di produttore), e che su schermo si trasforma/conferma in ciò che effettivamente è: la miglior opera di Soi Cheang a data odierna, o perlomeno quella più complessa ed elaborata, studiata e calcolata.
Il regista hongkonghese usa l’espediente dei falsi incidenti per mettere in mostra tutta la sua abilità registica e le sue capacità tecniche più virtuose, e con un occhio rivolto verso i migliori Brian De Palma, cattura lo sguardo e l’attenzione dello spettatore con la meticolosità della macchina da presa a la puntualità del taglio: Soi Cheang conosce bene la funzionalità del suspense, e dilata tutto il dilatabile possibile (un esempio su tutti è la mancanza di pioggia che continua irrimediabilmente a rimandare l’incidente con gli aquiloni, espediente questa, per tenere l’audience perennemente sospeso in attesa del colpo) per poi far esplodere il suo momento topico in una serie di veloci inquadrature che aggrediscono l’emotività per piazzarci il morto servito in tavola, il tutto con un impatto visivo elegante e al contempo stesso brutale. Vedendo questi frangenti, sembrano lontani i tempi della furia animalesca ed incontrollata di Dog Bite Dog, la mano di Soi Cheang appare più controllata che mai, come un demiurgo che non può più lasciare nulla alla casualità e all’improvvisazione, e a guardarlo da vicino, Accident è esattamente un film sulla perfezione e sull’equilibrio: Brain e la sua gang non possono permettersi di sbagliare, ogni tassello del puzzle che creano dev’essere delineato alla perfezione, studiato e controllato fino ai minimi dettagli. Punto focale della pellicola è esattamente la rottura di quest’equilibrio, che scatenerà il delirio tra i protagonisti. Di nuovo, Soi Cheang sembra guardare al Mission: Impossible di De Palma, il senso di paranoia che attraversa il protagonista è lo stesso: “Chi sta cercando di farci fuori tutti? Di chi mi posso fidare? Di nessuno, nemmeno dei miei stessi compagni”. Non per nulla, un’espediente già usato dal regista per Love Battlefield. Allora è giusto affermare che la seconda parte di Accident sia un concentrato di delirio intrippato focalizzato su Louis Koo, che come tutti i protagonisti del Cinema di Soi Cheang, diventa un chiaroscuro, un buono contemporaneamente cattivo (o viceversa), l’(anti)eroe tragico che dovrà necessariamente soccombere perdente in questo mondo più nero del noir. I nemici sono altrove ed invisibili, a schiacciare i personaggi è una mano più grande e fuori dalla loro portata, dalla loro artificiale perfezione: il destino. Per questo, nonostante una certa freddezza d’esecuzione, è impossibile non provare empatia, una sorta di tenerezza che arriva addirittura vicina alla commozione. Perché esattamente come la bestia interpretata da Edison Chen in  Dog Bite Dog, gli ectoplasmi di Soi Cheang ti dimostrano tutta la loro umanità proprio nel momento di massima brutalità, nell’attimo in cui meno te lo aspetti. Stringendoti dritto il cuore.

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