Azumi

Voto dell'autore: 3/5

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AzumiAzumi è in fin dei conti -ad oggi- il film più riuscito del regista Ryuhei Kitamura, dopo dei brutti corti che facevano in parte presagire il suo folgorante (e innegabilmente interessante) esordio Versus e una pletora di lungometraggi inguardabili/insostenibili fino alla deriva blasfema di un’icona pop come Godzilla Final Wars. L’origine del personaggio proviene direttamente da un manga che il regista traspone con un rispetto e soprattutto uno stile immaginifico proprio del medium cartaceo. E dire che infatti la prima ora di film è assolutamente piacevole, brutale, sanguigna, ammorbidendo le pose coatte che strabordavano da Versus come da Alive, e regalando armoniosamente una rivisitazione postmoderna di un’iconografia storica simile in parte a quella ninja di Red Shadow. Se da una parte il nuovo sviluppo del jidaigeki si muove fino all’iperrealismo estatico e contemplativo di film come Twilight Samurai dall’altra si spinge all’esplorazione di universi patinati e cromaticamente scriteriati. E’ a questa parte che il regista si avvicina dirigendo un film che sembra un’estensione del visionario videoclip di Miike Takashi Go! Go! Fushimi Jet. Peccato che il videoclip di Miike durasse cinque minuti mentre questo film a volte sembra davvero non dovere finire mai. Kitamura non ha il senso di nulla, non ha nessun senso cinematografico. E’ un buon regista ma è un portatore di handicap cinematografico deprivato dei sensi madre. Non ha il senso del ritmo, dei tempi, della lunghezza, della metrica, del respiro, utilizza i ralenti a caso, allunga senza motivo, senza sapere probabilmente nemmeno cosa sia l’ellissi. Se –come in questo caso- ci sono 200 avversari da affrontare, deve, secondo la propria mente malata, essere mostrato il colpo inferto a ciascuno di essi senza che questo possa portare nessun valore aggiunto all’economia del racconto. Sembra quindi che il mezzo cinematografico sia stato messo in mano ad un ragazzo disabile, quasi un saggio delle attività ricreative effettuate dalle insegnanti di sostegno in una clinica per ragazzi autistici. E se ci mette ore a costruire un castello di carte a fatica e per la prima volta nella propria carriera, ci mette un attimo a disfare il tutto deflagrando nella pura incoerenza narrativa tutta l’architettura, trasformando il progetto in una carnevalata estenuante che avanza per eventi, idee, inerzia e momenti slegati. Il finale diventa quasi un Peter Jackson (delle origini) del chanbara tanto è saturo, carico e pomposo nella composizione della messa in scena.

Qualsiasi cosa accada Kitamura gira nello stesso modo, con lo stesso stile; che sia un duello o un pranzo, la regia di Kitamura non varia, e in questo è assolutamente autoriale visto che questa “poetica” si riflette in tutti i suoi film.

Il tutto è spinto così verso l‘estremo, che la bruttura inconsapevolmente diviene sublime, divenendo ipnosi visiva, una ritmica di immagini affogate nel sangue e nei colori di costumi privi di qualsivoglia valore storico, di battutine infantili, di colpi, fuochi, corpi, architetture che si sgretolano. Un peccato. Come per Versus è dura arrivare alla fine anche se il film è assolutamente piacevole almeno finché si prospetta il miraggio di una lunghezza temporale adeguata.

Credits: Assolutamente funzionale e bellissima la protagonista interpretata da Aya Ueto, idoletta dalla consolidata esperienza televisiva, ma anche gli altri attori, tutti discreti funzionano con note di merito per le numerose facce note presenti.

Un maestro di spada alleva dieci ragazzi orfani per farli divenire assassini professionisti e lanciarli in futuro contro i signori della guerra per fermare gli scontri che insanguinano il paese. Il giorno degli esami i ragazzi due a due devono ammazzarsi tra loro; questo è il prezzo per il loro battesimo di sangue. I cinque rimasti (quattro ragazzi e la protagonista, Azumi) partono in missione. Ma i signori sono pronti a mettere contro di loro squadroni ninja, uomini-cane, guerrieri infallibili e sanguinari e pericolosi galeotti dai poteri sovrumani. Cinque contro migliaia potranno riuscire nella missione? Forse si, ma a terra dovranno rimanere nel corso del film migliaia più tre. Sembra questo il prezzo da pagare per la pace.

Effettivamente il messaggio del film, nel caso ce ne fosse uno, è alquanto curioso. Un maestro che esce da una guerra che ha prodotto milioni di morti alleva 10 ragazzi e ne stermina cinque. Impedisce loro di difendere i deboli (e grazie a questo non pochi villaggi saranno sterminati) e li scaglia contro eserciti di migliaia di persone. A fine film la conta dei morti sarà pressoché impossibile. Tutto questo per evitare guerre e portare la pace. Sa tanto di ragionamento da guerra preventiva Bushista più che altro. Il film più riuscito del regista, nonostante gli innegabili pregi non ci fa assolutamente cambiare idea su Kitamura, un uomo che deve preventivamente –questa volta si- appendere la macchina da presa al chiodo.

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