A Battle of Wits

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Battle of WitsIl pubblico tutto si aspettava con una certa sufficienza ormai l’ennesimo polpettone wuxia patinato da oltre-deriva (ancora il trauma dovuto a film come The Promise e The Banquet fatica a rimarginarsi), frutto delle risorse mainlander e delle venefiche co-produzioni. Altri fans aspettavano un one-man-band-movie tutto sulle spalle di un carismatico Andy Lau. Invece il prodotto è ancora più anomalo e complesso.
Innanzi tutto si tratta di una co-produzione, ma massicciamente estesa tra Giappone, Hong Kong, Corea del Sud e Cina. Il film è inoltre tratto da un noto manga (Bokkou, che è anche il titolo giapponese del film) illustrato da Sakemi Ken’ichi ed è diretto nientemeno che da Jacob Cheung, uno dei pochi nomi ad essere considerati “autori” all’interno del cinema di Hong Kong (e in pausa lavorativa su grande schermo da qualche anno). Il prodotto finale quindi non è un wuxiapian, ma un film di strategia che –fatti i debiti paragoni- nella ricerca di un relativo “realismo” si avvicina più all’insegnamento del Seven Swords di Tsui Hark (Cheung ha curato la regia di alcuni episodi della serie TV, Seven Swordsmen) che non ad un film alla deriva new-Yimou (La Foresta dei Pugnali Volanti, giusto per citare un titolo NON a caso).
Così, l’ennesimo blockbuster in costume proveniente dall’Asia (in attesa poi dell’imminente nuovo lavoro di Yimou) si risolve come un estenuante e infinito assalto plurimo di 100000 soldati nemici ad un castello e di 4000 valorosi che tessono strategie per respingere l’attacco e preservare le proprie vite; arie vaganti de I Sette Samurai, di Seven Swords (di nuovo), financo de L’Armata delle Tenebre di Raimi (con la differenza che lì l’assalto durava solo mezz’ora) si muovono nell’aria, regalando un film comunque inaspettato, a tratti coinvolgente, a volte suggestivo, ma decisamente troppo, infinitamente lungo. Non si tratta di lunghezza standard da blockbuster o da tempi filmici pregni di epica, ma di semplice brodo allungato oltre misura, di una regia pacata, capace, ma troppo conservatrice per la storia narrata. Non una goccia di sangue è presente nel film, nonostante metà della metrica del prodotto sia composta da combattimenti (coreografati in modo anonimo e con mano invisibile da Stephen Tung Wai) e una morale pacifista ostentatamente e maldestramente priva di finezza, d’accatto, reiterata oltre il sopportabile, stimola anche il pacifista più dotato di buona volontà a divenire militarista.

Andy Lau interpreta Ge Li, un Mohista (adepto di una particolare filosofia cinese) che giunge in una fortezza per utilizzare le proprie capacità strategiche al fine di salvarne gli abitanti dall’imminente assalto di un esercito di 100000 guerrieri. Non tutto andrà però per il meglio tra rancori, spie, invidie, spietatezza di tutti i sovrani, lasciando spiragli abbastanza larghi per fare trapelare brandelli di love story.

Sequenze suggestive quanto improbabili ce ne sono, dall’assalto notturno con le mongolfiere, alla furia dell’acqua di vene sotterranee utilizzata come arma facendola eruttare dal terreno, fino alla prima dimostrazione dell’abilità del protagonista che -dalla torre del castello- semplicemente aggiungendo un peso ad un freccia e tirando in “controsole” riesce e mettere in difficoltà un generale nemico a debita distanza.
Peccato che raramente l’afflato epico del film si erga oltre certi limiti, lasciando Battle of Wits in un territorio neutro di film né troppo autoriale e introspettivo, né abbastanza spettacolare e popolare. La lunghezza estenuante poi ci mette del suo regalando un film –purtroppo- genuinamente piuttosto inutile.
Nota: per fare tornare i conti segnaliamo che le musiche del film sono di Kenji Kawai, stesso compositore di quelle del Seven Swords di Tsui Hark