Battle Royale

Voto dell'autore: 4/5

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Fukasaku atto finale.

Battle Royale è un film anomalo e -a distanza di anni- fondamentale. Successo esplosivo in Giappone si è al contempo materializzato come una polveriera sociale suscitando sdegno e critiche unanimi come forse nessun film precedente del regista. Logicamente parecchie voci pregne di anacronismo e superficialità di analisi ancora preistorica (anche in Italia) hanno fatto del tutto per sgretolare la portata autoriale del film rievocando i bei tempi andati senza evidentemente conoscerli abbastanza. 

Una delle ultime inquadrature del film mostra dei corvi agili mangiare in mezzo alla spazzatura, simbologia e metafora che con un piano fisso riassume l’intera carriera e poetica dell’autore. Non è un rimando all’estetica di Miike, sempre volta all’inserimento extratestuale di dettagli di animali, soprattutto volatili, riflesso della tendenza dei propri personaggi ad uno lancio, anche sociale verso un cielo apparentemente irraggiungibile. Quei corvi lucidi possono essere visti con una  duplice significazione, sia come il basso che sopravvive razzolando tra il marcio in cerca di sopravvivenza che come l’alto che si nutre della spazzatura del mondo, ossia del basso.

In entrambi i casi è un diretto trait d’union con il passato filmico del regista. Ma non solo.

I protagonisti sono i giovani, i ragazzi, gli spaesati e spensierati elementi a cui il regista dedica l’intera carriera, giungendo ad un calore appassionato verso l’ultima parte di essa, raggiungendo forse il climax con il delizioso The Geisha House. Al contempo essi sono il “basso”, sono i ragazzi del dopoguerra in un paese sconfitto che cercano di sopravvivere in un’isola mai così simile alle strade di Hiroshima dei vecchi film del regista.

Lo stile è in tutto e per tutto simile agli yakuza movie di Fukasaku, coerente fino al midollo e appesantito da una violenza ancora più accentuata ed estrema, difficilmente sopportabile se solo pensiamo che essa è rivolta nei confronti di adolescenti. Di nuovo il realismo nella messa in scena scuote quasi per intero il film e quindi assume ancora di più una portata destabilizzante, quella che probabilmente più ha acceso le aspre critiche. L’antieroismo domina, i corpi barcollano e cadono, gemono e periscono senza seguire le regole del cinema d’azione classico, penalizzate talvolta dall’intervento di un oggettivamente discutibile sangue digitale.

Certo, il film tradisce una frenetica ispirazione letteraria (è tratto da un bestseller omonimo di Koshun Takami edito anche in Italia) subendone quindi alcuni limiti (e alcune libertà di aggiunte ed eliminazioni). Ma -accidenti- che testamento artistico, in tutto e per tutto coerente, rivoluzionario, coraggioso, aggressivo.

Il film non è Battle without Honour & Humanity, così come non è stato girato negli anni 70. Trent’anni sono passati e Fukasaku resta uno dei registi più “giovanili” della storia nonché uno dei meno concilianti. Certo, c’è una “Battle Royale without Honour and Humanity” ma le regole del gioco si sono sciolte ed adattate alla contemporaneità, accentuate e mescolate alla rinfusa con un esemplare coraggio nello sconvolgente e criticato sequel. Come nel passato tornano le scritte in sovraimpressione a scandire tempi e decessi, aggiornate alle cronache ilari del prof. Kitano (un folgorante Takeshi Kitano).

Il Battle Royale è un terribile gioco, inventato dai mass media giapponesi, in collaborazione con il governo di un possibile futuro, in cui la classe scolastica peggiore dello Stato viene mandata in un’isola deserta per far combattere agli studenti uno scontro all’ultimo sangue: solo uno dei ragazzi può sopravvivere in tre giorni, tutti gli altri devono uccidersi a vicenda. Battle Royale è una sopravvivenza forzata, un andare contro le regole dell’amicizia per salvare la propria vita. Oltretutto gran parte della battaglia è segnata fin da subito poiché le armi date in dotazione, da tecnologici fucili ad inutili utensili, fanno comprendere chi ha la speranza di salvarsi e chi no.

Il film ruota soprattutto attorno ad un pugno di personaggi legati da un’amicizia molto profonda e attorno alla cui decisione di proteggersi a vicenda sino alla fine, si gioca il dubbio di come finire o sfuggire da questo incubo. Ma la cosa è difficilissima perché per chi prova a scappare o si trova in “zona rossa” in precisi momenti della giornata, il collare esplosivo con cui ognuno è stato marchiato, attiva la sua carica causando una morte orribile.

A capo di tutto ciò vi è il folle professor Kitano, interpretato dal magistrale Beat Takeshi, che in un’atmosfera assolutamente maniaco-militare, urla i suoi comandi e la conta dei morti con altoparlanti, facendosi accompagnare da arie di musica classica.

Battle Royale è un massacro. Sembra un film che non poggia su nulla, una pura e semplice messa in scena di cristallina violenza e disperazione, e invece il suo fondamento è radicalmente più complesso. Il mostrare come al giorno d’oggi, pochissimi, si sacrificherebbero in nome dell’amicizia rievoca nostalgici ricordi di un codice d’onore (lo jingi) evaporato un ventennio prima. E ciò è comprensibile; non a caso, infatti, chi preferisce rischiare la propria vita è chi è legato da un sentimento molto più forte della semplice amicizia. Non è la solita mitizzazione dell’amore, perché mai si parla di amore in Battle Royale, è un lasciar supporre quest’amore, per cui si potrebbe morire. Ma lo scopo di entrambi i protagonisti non è solo salvarsi: loro non vogliono uccidere i propri amici, loro vogliono uccidere Kitano, vogliono uccidere la mente malata che li ha condotti in questo gioco.

Battle Royale è un cecchino filmico, e apertamente evidente è la sua vittima: La società dei reality show, la società che osserva attraverso gli occhi dei mass media e attende sempre qualcosa di nuovo ed estremo, al punto da legalizzare una battaglia fratricida. In questa riflessione, poi, si percepisce soprattutto una critica alla società giapponese (e nel sequel al mondo intero), basata in tutto e per tutto sulle capacità di ognuno. Noi non vediamo tutto ciò, non vediamo i mass media se non all’inizio, nella corsa attorno alla sopravvissuta di una precedente edizione. Eppure la critica si percepisce perché le classi in gioco sono le peggiori del Giappone, ed un ragazzo che non va bene a scuola non è nulla e quindi può essere ucciso. Infatti l’ascesa sociale nella società giapponese è basata per i primi vent’anni interamente sul rendimento scolastico al punto che un bambino che fallisce i test di fine anno al tempo delle elementari, si vede già da allora preclusa la strada per particolari licei e quindi università.

Il massacro di ragazzi che non vanno bene a scuola, diventa quindi l’estremizzazione di questo comportamento con cui la società vuole solo i migliori, una società dove il “rango” è il fondamento e non le capacità di ciascuno. 

Gli adulti, la società dei grandi, metafora dei potenti e dei loro fallimenti repressivi (un tempo disegnata sui corpi di boss yakuza e poliziotti violenti) viene sgretolata fino all’affondo finale compiuto in Battle Royale II, dove la metafora sarà più netta. Non è un caso che tutti i personaggi adulti presenti nel film siano marci; dai genitori del protagonista, morti o fuggiti, al professore Kitano, incarnazione del male, agli spietati uomini dell’esercito. Solo due persone vengono risparmiate dalla critica, un professore che si ribella allo status quo e viene quindi abbattuto e un parente rivoluzionario di uno dei ragazzi che, in quanto appunto essere contro, diviene esempio rispettabile.

Battle Royale resta quindi l’ideale film di chiusura di una lunga, enorme carriera; nessun altro film, anche più rigoroso, sarebbe stato rappresentativo della vita e dell’opera di un artista così alto. E a conferma di questo possiamo notare come dopo vent’anni il concept del film e il film stesso siano macroscopiche fonti di ispirazione per la più nota e popolare cultura di massa, dalle similitudini ai limiti del plagio della serie coreana di estremo successo Squid Game all’universo videoludico dove il termine “battle royale” descrive ormai una vera e propria modalità ricorrente nei multiplayer on line di maggiore successo da Call of Duty ad Apex Legends.