Born to Fight

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Born to FightBorn to Fight. Nato per uccidere. E il film è così, si divide equamente in due parti. Born to fight e Born to die. All’interno di questa pellicola -oltre il corale- la metà delle persone combatte, l’altra metà muore. C’è chi utilizza ogni propria esperienza e capacità atletica per combattere e chi viene abbattuto. Combattono tutti, l’esercito, gli atleti, i terroristi, i motociclisti, i calciatori, i vecchi, i bambini, gli invalidi. E nulla di più, il film è tutto qui, 100 minuti di stunts. L’interesse  di tutta l’operazione è focalizzato su questo; La visione di un demo delle capacità atletiche e degli stunt estremi possibili in Thailandia. In seguito al successo planetario di Ong Bak, il coreografo del film, già regista di un fiume di pellicole action di serie B, è riuscito a passare al cinema mainstream. Per fare questo ha assunto tutti i più famosi atleti nazionali delle più disparate discipline e li ha infilati in un nerboruto e trucidissimo film d’azione, dal campione olimpico di boxe Somrak Khamsing, al campione mondiale di motociclismo Chakrit Rungsuwan, la star del football Piyaphong Pewon e il protagonista assoluto Dan Choopong che dovrebbe così sostituire la presenza scenica del Tony Jaa di Ong Bak.
Un gruppo di atleti va in visita di beneficenza in uno sperduto villaggetto rurale. Casualmente lo stesso villaggio è stato preso di mira come campo base da un nucleo corposo di terroristi dotati anche di una testata nucleare. Dopo che i villains avranno fatto un’inutile strage a sangue freddo inizierà la rappresaglia e lo scontro tutti contro tutti, in un’evocazione nazionalista esasperata, tra inni nazionali e bandiere al vento.
La cosa che può apparire ridicola è come ciclicamente compaiano dal nulla di fronte al relativo atleta, delle sezioni del villaggetto che assomigliano stranamente agli oggetti utilizzati nella propria disciplina. Così ecco gli eroi pronti a sfruttare delle barre e trapezi di bambù messi lì quasi per caso, o dei palloni da calcio o simili oggetti sferici che capitano sempre tra i piedi del campione di football.
Dopo aver demolito la pretestuosità dell’intera operazione bisogna però ammettere l’intensità e brutalità dei combattimenti, estremamente fisici e violentissimi. Le coreografie sono di quelle che interagiscono continuamente col set e con gli oggetti un po’ come nei vecchi film di Jackie Chan, ma qui la grazia è decisamente minore, e tutta la performance è indirizzata verso l’efficacia e lo scontro brutale. C’è poca catarsi dettata dall’ironia, tutt’altro, anche il massacro perpetuato dai terroristi lascia allibiti nella sua gratuità e non può che essere spiegato come azione messa in scena solo al fine di giustificare la reazione. In questo senso sono sorprendenti le performance di tutti quanti compresa una bambina che si giostra in uno scontro di boxe thai e un invalido senza una gamba che si mette a combattere in maniera virtuosistica. La morale visiva è la stessa di Ong Bak, stunts mozzafiato (i cui esiti nel set li vediamo durante i titoli di coda a ritmo del vai e vieni delle ambulanze), virtuosismi inusitati, spettacolarità parossistica, e combattimenti fisicissimi, tra attori che si gettano da camion in corsa, moto che sfrecciano tra le fiamme e si schiantano addosso a furgoni, controfigure che si gettano da altezze spaventose rimbalzando in giro. La regia è tanto grezza quanto efficace e arriva a regalarci un piano sequenza complessissimo svolto nel bel mezzo della battaglia tra esplosioni e granate, sparatorie, duelli corpo a corpo, davvero sorprendente. Nell’attesa del sequel "ideale" di Ong Bak,  Tom-Yum-Goong, (e di quelli ufficiali) questo è il film che fa da perfetto entr’acte. Spegnere assolutamente il cervello, grazie.