Color of Pain

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Color of PainDopo avere visto Color of Pain viene d’impulso l’andare a controllare il nome dello sceneggiatore. Scopriamo così che anche la sceneggiatura, come negli altri suoi film, è sempre di Sam Leong, lo stesso regista. Ma viene spontaneo anche chiedersi, com’ è possibile accumulare tanti luoghi comuni del noir e action made in Hong Kong, tanta semplicità narrativa, personaggi sottilissimi e affidarli ad una regia a sua volta esile e prossima all’amatoriale? D’accordo, gli altri suoi film non erano capolavori e sono noti più che altro per la risonanza dovuta alle perenni co-produzioni con il Giappone, ma almeno alla fine The Stewardess (2002) in tanta follia, un suo perchè lo aveva, The Maniacal Night (2001) era piacevole anche se permeato da una regia sottotelevisiva e Explosive City mostrava una maturazione –dovuta anche ad una produzione più robusta- innegabile. Color of Pain invece è il nulla, il nulla dato in pasto a degli attori infimi; due dei più antipatici divetti dell’ex colonia, Josie Ho (Purple Storm, 1999, ritornata tra noi poi con la brillante performance in Exiled) e Terence Yin (New Police Story, 2004), un Sam Lee (Biozombie, 1998) sempre uguale, Tony Ho (Divergence, 2005) e Raymond Wong (Slim Till Dead, 2005) imbarazzanti, calati in due personaggi risibili e il giapponese Kenya Sawada in un ruolo oltre il coatto.

Il film si muove tra sezioni parlate in cinese, altre in giapponese e altre ancora in inglese, avvicendando la storia del killer interpretato da Kenya Sawada che nel corso di un “lavoro” riceve un “bullet in the head” che non può essere estratto, evento che gli impedisce di tornare in patria visto che il bossolo verrebbe segnalato dai metal detector dell’aereoporto.

Questa è la base più intrigante del film. Il resto è fuffa. Il killer si auto assume all’interno di una banda di rapinatori e deve battersi contro un poliziotto dal trauma in corso (ex cecchino, aveva ucciso per sbaglio una collega) creando però con questo un saldo sentimento di rispetto e di amicizia virile, venti anni dopo il cinema di John Woo. La regia statica e semi amatoriale non aiuta gli sviluppi del film che rimane un’opera assolutamente trascurabile all’interno della filmografia del regista e del cinema stesso di Hong Kong.