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Voto dell'autore: 3/5

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Ci si aspettava di più o forse qualcosa di diverso da Kenneth Bi, autore del bel The Drummer. Invece il regista sceneggia un film molto scritto tratto da una storia originale del poliedrico direttore della fotografia Jack Messitt.
Non che il film sia brutto, anzi. Raramente Hong Kong è riuscita a infilarsi nella fantascienza o in un universo fantastico tecnologico con successo, probabilmente unico genere mai davvero compiuto in loco. Questo film miracolosamente invece mostra un'ottima città del futuro con veicoli avveniristici, grattacieli lucidi, in cui anche i cellulari hanno nuove forme olografiche e con effetti digitali finalmente all'altezza delle ambizioni.
Peccato che in sé la componente futuristica sia inutile e nulla aggiunga alla storia; la visione da “Grande Fratello” dettata da telecamere a circuito chiuso e intercettazioni perenni è ormai una drammatica attualità viste le recenti rivelazioni della cronaca di questo periodo.

Il film narra le disavventure di Mark (Daniel Wu) che improvvisamente viene ricattato da una voce telefonica che gli impone di entrare in contatto con delle gang malavitose e estorcere denaro. Una sequela di personaggi incrocia il ramo principale narrativo, mentre il tutto avanza per gradi e intrecci fino al twist finale risolutore.

Grande prova di attori (su tutti Simon Yam e Leon Dai Lap-Yan negli ovvi ruoli di gangster) e un Daniel Wu che mostra di nuovo tutti i propri limiti in campo attoriale. Il film ha uno sviluppo all'americana con grosso intreccio classico e una progressione ad incastri. L'unico anello debole è di nuovo Wu non all'altezza e con un evoluzione del personaggio poco convincente. Viene davvero da pensare comunque cosa sarebbe stato il film senza il substrato “fantascientifico” se annegato nella Hong Kong contemporanea e mantenendo le location più rurali; probabilmente un film più affine alle corde del regista. Resta invece un buon lavoro particolarmente “sceneggiato” che non arriva al tasso emotivo che poteva offrire con una sceneggiatura meno limata e più calda. Comunque l'ennesimo buon segno di una sorta di vitalità ritrovata di certo cinema asiatico.