Cruel Winter Blues

Voto dell'autore: 4/5

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Cruel Winter BluesSessista, offensivo, strafottente, sarcastico, egocentrico, rabbioso, autoritario, volgare, maleducato, violento, arido, cinico, il malavitoso Jae-moon è un vero distillato di bastardità e anti-eroismo, la cui unica ambizione è portare a compimento la propria vendetta personale. In un mondo di individui torbidi e arraffoni, sempre pronti al doppio gioco e a alla prevaricazione dei propri sottoposti, Jae-moon si adegua ed esibisce un atteggiamento sprezzante perfino con il boss, diventando scomodo. Viene perciò inviato nel profondo della provincia coreana con il gradito incarico di far fuori l'assassino del suo più caro amico. Tuttavia, pare suggerire il film, anche nel male più estremo si nasconde in potenza il seme della positività. Il compito di farlo germogliare in affetto e umanità - per quanto mai completamente e unilateralmente - spetterà alla madre della vittima designata, elemento catalizzatore dei cambiamenti di Jae-moon e spettatrice esterna e involontaria delle dinamiche dell'underworldmalavitoso, nel quale resta invischiata suo malgrado. Detto così potrà sembrare banale, ma a fare la differenza è un adeguato approfondimento della psicologia dei personaggi e l'interpretazione di uno strepitoso Seol Kyeong-gu (OasisPublic Enemy), istrionico come non mai, accoppiato alla veterana Na Moon-hee (You Are My Sunshine, la serie My Name is Kim Sam-soon), altra performance impareggiabile e altro serio motivo per non perdere Cruel Winter Blues.

Curiosa parentesi semantica: in Corea il titolo è lo stesso del wongkarwaiano As Tears Go By, di cui, guarda caso, il regista avrebbe dovuto girare un remake qualche anno fa. In realtà quello che era stato ideato come rifacimento si è trasformato poi nell'attuale Cruel Winter Blues, mantenendo invariato solo il titolo.

A fronte di un'ossatura narrativa minimale, spesso gracile e diluita,Cruel... rimane un esordio impressionante, denso, coraggioso, col suo punto di forza in una trama intensa e in un cristallino splendore visuale, opera di una fotografia sapiente, rigorosa, tersa e incisiva. La visione non è certo avara di emozioni delicate, contrapposte alla violenza grafica e verbale, espressione diretta di una volontà - comune un po' a tutti i personaggi - di auto/etero-distruzione. Anche se qualche volta non riesce a sottrarsi agli stilemi dettati dal genere, sotto le mentite spoglie di un gangster movie Lee fa passare un dramma familiare candidamente toccante, sfruttando modalità espressive di entrambi i registri, ma focalizzando il baricentro del film esclusivamente sulle figure umane principali.

In contrapposizione alla progressiva ri-umanizzazione e riappropriazione della personalità perduta da parte del protagonista assistiamo alla de-umanizzazione e spersonalizzazione del suo assistente e, con tutta probabilità, successore ereditario, interpretato da un tiepido ma all'occasione dignitoso Jo Han-seon. Infine funge da quarto personaggio-chiave lo stesso villaggio, presentato come fucina di criminali per la malavita organizzata, luogo maledetto, senza prospettive, senza distrazioni, vicolo cieco di una generazione inquieta e insoddisfatta. Tuttavia il ritrovarsi calato in quella quotidianità rassicurante, ripetitiva e, in un certo modo, calorosa, innesca nel protagonista la conquista della consapevolezza di quanto la propria vita sia stata futile e meschina fino a quel momento. Tutta la lunga sequenza finale è intrisa di una pulsante e inesorabile drammaticità, stemperata dall'atteggiamento sornione e malizioso di Seol, ma intensificata esponenzialmente fino agli ultimi, amarissimi, strazianti dieci minuti, nei quali vanno a confluire tutte le spinte distruttive centrifughe e quelle costruttive centripete, suscitando commozione (cerebrale) nello spettatore sensibile.

"La cosa più dolorosa per un genitore è seppellire il proprio figlio."

Materiale aggiuntivo:

Qualche immagine dal teaser trailer, scollegato dal film, efficace, conciso e intenso: