Delinquent Boss: Ocho the She-Wolf

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La serie Furyo Bancho (aka Delinquent Boss, aka Wolves of the City, aka Juvenile Boss, si faccia attenzione che i titoli anglofoni del materiale nominato arbitrariamente “pinky violence” sono un po’ tutti simili) si è protratta per 17 episodi dal 1968 al 1974 con una media di tre film all’anno.

Il ’68 è stata una data importante per il genere; nello stesso anno infatti esordiscono opere pionieristiche del calibro di Female Demon Ohyaku di Yoshihiro Ishikawa, primo capitolo della trilogia di Legends of the Poisonous Seductress e Shogun’s Joy of Torture di Ishii Teruo, primo episodio della serie di The Joys of Torture. Il tutto prima di altri “classici” del genere del calibro di Hot Springs Geisha (1969), Stray Cat Rock (1970), Delinquent Girl Boss (1970), Girl Boss (1971), Female Prisoner Scorpion (1972), Terrifying Girls’ High School (1972), Rica (1972) e così via.

Solitamente viene indicato come questa serie sia stata la diretta fonte ispiratrice della saga di Stray Cat Rock di due anni successiva e come al contempo si sia generata da ispirazioni dirette del The Wild Angel (1966) di Roger Corman, abbastanza famoso in Giappone all’epoca.

Sarà, ma almeno in questo secondo capitolo che prendiamo in esame è tenue sia la presenza robusta delle moto (che appaiono solo ad inizio e fine film) che di donne fatali (solo due, una –passiva- è un membro della gang, l’altra più vivace è la Ocho del titolo, interpretata da una Junko Miyazono fresca del Female Demon Ohyaku dello stesso anno). 

Un gruppo di amici (un cast a dir poco stellare che unisce Tatsuo Umemiya, Bunta Sugawara e Sonny Chiba) in prigione sigla un patto di amicizia virile. Una volta fuori le loro strade si riuniscono e insieme formano una piccola banda (chiamata Capone) atta alla ricerca di denaro facile. Il ricatto ad un boss di una grossa gang rivale li porterà allo scontro frontale, aiutati da una “espansiva” giocatrice d’azzardo letale.

Giacche con teschi sovrapposti a svastiche, moto, azione, una bara contenente un mitragliatore deus ex machina (Django docet) e un gran finale action che anticipa i funambolismi balistici dell’hongkonghese John Woo.

Il film è spensierato e innegabilmente divertente fosse solo per il carisma degli interpreti che spinge avanti il tutto, anche se in realtà si muove per la maggiore partitura metrica nei binari più consolidati del classico yakuza eiga, tanto da potercisi tranquillamente nascondere in mezzo, non fosse per strane e talvolta inspiegabili categorizzazioni (in questo caso il “pinky violence”) e (ri)scoperte entusiasticamente preventive.

Difatti la regia è decisamente tiepida; Noda Yuki non ha né il vigore furioso di Fukasaku (Battle without Honour & Humanity), né la forza inventiva pop di un Hasebe Yasuharu (Stray Cat Rock: Delinquent Girl Boss).

Tutto sommato un’onesta opera di innegabile pregio e coinvolgimento.

Il personaggio femminile di Ocho tornerà in Sex & Fury e in  Female Yakuza Tale, interpretata però da Ike Reiko.