Dirty Ho

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Liu Chia-liang tra gli anni Settanta e Ottanta ha girato almeno una manciata di capolavori (The 36th Chambers of Shaolin, Legendary Weapons of China, The Eight Diagram Pole Fighter, Heroes of the East, Martial Club), ma il suo film più elegante e “puro” rimane, probabilmente, Dirty Ho (1980).
Osservato superficialmente il film potrebbe sembrare una commedia kung fu come tante altre, ma in realtà quello che si dispiega di fronte agli occhi dello spettatore è una delle più brillanti rappresentazioni delle arti marziali mai riprese su pellicola. Di seguito, il gentile lettore e pregato di scusare l’eccessivo uso di superlativi, in ogni caso totalmente giustificato.

Dirty Ho (ossia “Lo sporco Ho”, ma la traduzione corretta e meno deviante del titolo originale è “Testa-marcia Ho”) racconta la storia del giovane truffatore Ho (Wang Yu) e del suo incontro con il misterioso Wang Qingjin (Gordon Liu), apparentemente un semplice antiquario e appassionato di vino. Dopo diversi scontri, Wang “convince” il ragazzo a diventare suo discepolo, e quest’ultimo, controvoglia, accetta. Con il passare dei giorni però, Ho scopre la vera identità del suo maestro, che in realtà è l’undicesimo principe cinese e uno dei candidati prossimi al trono di imperatore. Per questa ragione, uno dei fratelli ha messo sulle sue tracce un gruppo di pericolosi killer, ma Wang oltre ad essere un esperto di vini e oggetti d’arte è anche un vero maestro di arti marziali …

Roger Garcia nel suo saggio “The autarchic world of Liu Chia-liang” (Il mondo autarchico di Liu Jialiang, 1980) a proposito di Dirty Ho affronta soprattutto il discorso del rapporto tra maestro/discepolo e della radicale trasformazione che subisce proprio in questo film, tanto da “rompere con le limitazioni del genere”.
In questa sede invece, vogliamo occuparci di un altro aspetto. Difatti con Dirty Ho, una delle caratteristiche centrali del cinema di Liu trova il suo perfetto compimento, ossia la caratterizzazione dei protagonisti attraverso le arti marziali. Il regista ha sempre dato un’importanza, insolita per il genere, alla descrizione dei personaggi, evitando il più delle volte i semplici stereotipi. Qui Liu però va decisamente oltre ed i movimenti marziali stessi diventano l’estensione naturale delle personalità dei singoli personaggi.
Per sottolineare questo aspetto, le arti marziali in Dirty Ho vengono quasi sempre eseguite in maniera “nascosta” (nel senso che chi sta attorno, non se ne rende conto, perché vede le mosse integrate nei movimenti) ed integrate nelle attività quotidiane. In questo senso, possono essere citate tre scene in particolare, che sono entrate di diritto nella storia del genere (ed in un mondo più giusto, nella storia del cinema). La prima vede Gordon Liu, Wang Yu e Kara Hui (il cui ruolo, purtroppo si esaurisce con i primi venti minuti) in un “combattimento a tre” decisamente insolito. Gordon, fingendo di nascondersi dietro la Hui, in realtà indirizza i movimenti ed esegue le mosse marziali di lei. La sorpresa per chi guarda è grande quanto quella del povero Ho, che non capisce cosa gli accade, talmente inaspettati arrivano i colpi. Questa scena non è però altro che l’antipasto di ciò che segue.

Poco dopo, il principe/Wang viene invitato a una degustazione. Due killer, mascherati da padrone e servo, durante la prova dei vini tentano di ucciderlo e l’esito di questo tentativo va visto con i propri occhi, per crederci. Le coreografie, estremamente complesse e dal ritmo straordinario, vengono eseguite dagli attori (Johnny Wang Lung-Wei, Hsiao Hou e Gordon Liu) con una naturalezza vista rare volte in precedenza e nessuno come Liu, era in grado di valorizzarle cinematograficamente. La macchina da presa, sempre al posto giusto, e il montaggio (che diminuisce gli stacchi con il progredire dello scontro), particolarmente preciso, fanno il resto. Sicuramente uno dei combattimenti più ispirati di sempre. Maestria di fronte e dietro la cinepresa. La terza scena, in cui Wang si trova in casa di un antiquario/killer (Wilson Tong), è una variazione di quella della “degustazione” e, anche se forse leggermente meno impressionante, lo scontro lascia letteralmente a bocca aperta. Allo stesso tempo, è un perfetto esempio di come Liu sviluppi la trama, i personaggi e le loro motivazioni attraverso i combattimenti. In questa scena infatti, Wang non solo scopre chi tenta di farlo eliminare, ma viene anche ferito gravemente alla gamba, evento che porterà all’allenamento (va da sé, che anche qui non mancano alcuni splendidi momenti) di Ho, che a sua volta realizza finalmente la vera identità del principe.

Le scene memorabili in Dirty Ho, però non si contano e oltre a quelle sopradescritte vanno almeno citate lo showdown finale all’interno del palazzo (in cui ritroviamo il grande Lo Lieh, naturalmente nel ruolo del villain), che vede Ho e Wang in azione come “un solo uomo” e poi lo scontro, in cui i due protagonisti vengono attaccati in un angusto crepaccio, scena che anticipa l’atmosfera cupa e onirica che caratterizzerà The Eight Diagram Pole Fighter (1984).
Dirty Ho è un’opera unica, profondamente teorica, quasi sperimentale, che andrebbe vista e rivista, studiata e poi ancora vista. Capolavoro assoluto.