Dog Bite Dog

Voto dell'autore: 4/5

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Dog Bite DogDog Bite Dog è un film che fa male. Su più livelli. La visione dell’ultimo film di Soi Cheang (Love Battlefield) provoca un certo disagio, probabilmente perchè ha il coraggio di mostrare ciò che nessuno vorrebbe vedere, sbattendoci in faccia una realtà nella quale il confine tra uomini e bestie si fa sempre più sottile e va quasi a scomparire affievolendosi del tutto in un continuo crescendo che non lascia scampo. E’ la potenza del cinema di Soi Cheang, la forza di un cinema – quello di Hong Kong – che ancora non vuole saperne di smettere di stupire, di colpire basso, di prendere lo spettatore per le palle e trascinarlo dove forse nemmeno lui vorrebbe mai andare. Dog Bite Dog è la storia di un poliziotto (Sam Lee) che insegue un criminale colpevole di omicidio plurimo (Edison Chen). Il primo ha diversi scheletri nell’armadio (oltre ad una vicenda in sospeso con un padre in coma ed un’indagine nei suoi confronti da parte degli Affari Interni), il secondo è un immigrato clandestino cambogiano cresciuto come una bestia, addestrato sin da bambino ad uccidere i suoi simili.

La spirale di violenza in cui si precipita fin dai primi minuti fa girare la testa: in Dog Bite Dog si muore, di continuo. In decine di modi diversi. Sembra quasi che i comprimari nello scontro tra il bene e il male altro non siano che delle inutili pedine facenti parte di un gioco di proporzioni cosmiche, totalmente al di fuori della loro portata. In quali dosi i concetti di bene e male siano distribuiti, però, è tutto da vedersi: buoni e cattivi non esistono in Dog Bite Dog. Così come nell’antico simbolo filosofico del Tao, lo Yin e lo Yang, bene e male, sono costretti giocoforza a convivere pena il termine dell’esistenza dell’uno o dell’altro. E così allo sfaccettato carattere perennemente in bilico tra legge e criminalità del poliziotto Sam Lee si aggiunge la scoperta dell’amore da parte del suo antagonista nei confronti di una ragazza orfana di madre, trovata quasi per caso nel bel mezzo di una discarica nella quale viveva insieme al padre. L’inseguimento tra i due protagonisti diventa presto simile ad un tornado, pronto a travolgere e a distruggere tutto ciò che sfiora, con i due contendenti pronti a regredire ad uno stadio animale pur di compiere il proprio dovere sfuggendo ai rimorsi o di proteggere sé stessi e le persone amate a costo della vita. Un gioco violentissimo e letale che viene palesato in maniera ancor più esplicita nei latrati e nei grugniti che Soi Cheang, quasi didascalicamente, ha voluto inserire nelle scene dove i due si scontrano a mani nude. Il regista, oramai autore adulto e consapevole, prosegue il suo spietato e coraggioso discorso sociopolitico intrapreso con il controverso (e riuscito solo per metà) Home Sweet Home e fa del personaggio di Edison Chen una naturale evoluzione della squatter dai mai sopiti istinti materni interpretata da Karena Lam, un’entità patetica difficilmente inquadrabile come essere umano, rovinato da un ambiente che non ha saputo o voluto accettarlo ed aiutarlo. Difatti, come nelle opere più personali del nuovo corso autoriale di Soi Cheang (finora limitate ai soli Love Battlefield e Home Sweet Home), anche in questo caso è difficile schierarsi: il regista sottolinea la disumanizzazione dei suoi protagonisti, o meglio si diverte a privarli di qualsiasi umanità ponendoli in situazioni estreme, lasciandoli agire in preda agli istinti ed alle emozioni più pure. E Dog Bite Dog fa male anche per questo, per come riesce a far parlare i suoi personaggi senza fargli aprire bocca (i dialoghi si contano sulle dita di una mano), lasciando comunicare volti, gesti, espressioni. Per lo spettatore, c’è spazio solo per un profondo sentimento di pena mista ad amara compassione.

Bisognerebbe guardare il film per poterci credere. Sam Lee, volto scoperto in modo quasi casuale da Fruit Chan (e successivamente protagonista di diverse sue opere), aspetto buffo, magrissimo, occhi spalancati quasi fuori dalle orbite, dopo innumerevoli commedie e parti da spalla è ora credibilissimo nel ruolo del poliziotto Wai, un personaggio scavato dai dubbi e dai rimpianti, vero e proprio simbolo di una raggiunta maturità artistica. E stupisce ancora di più il ritratto che Edison Chen dipinge per portare su schermo il suo personaggio senza nome (solo un numero per identificarlo negli incontri clandestini in Cambogia: il 247). Il fu protagonista di Gen-Y Cops, partecipe di diversi filmetti poco riusciti nonchè popstar e idolo delle ragazzine, compie un altro passo nella sua impressionante crescita recitativa degli ultimi anni (lo ricordiamo ottimo aspirante gangster in Jiang-Hu) vestendo gli sporchi, lerci panni di una perfetta macchina di morte, capace di impaurire con un solo sguardo ma anche di intenerire e di farsi compatire, mentre si muove come un animale nelle deserte strade di Hong Kong . Ennesimo esempio di un’idea di cinema impensabile in occidente, tanto che ci è impossibile anche solo pensare di poter fare un esempio o di tracciare una similitudine.

Le indubbie, elevate capacità tecniche di Soi Cheang erano da tempo risapute. In Dog Bite Dog, però, la sua regia riesce a trovare una nuova ed ancor più elevata dimensione. La perfezione di ogni inquadratura ha dello sconvolgente. L’uso della macchina a mano nelle scene più movimentate, il grandangolo a riprendere da vicino i volti dei protagonisti, la profondità di campo, l’utilizzo di certe location sono tutte cose che lasciano basiti, così come il frequente uso di specchi e superfici riflettenti, che ribaltano simmetricamente volti ed oggetti come ad evidenziare il dualismo e la specularità nell’evoluzione dei due protagonisti (e del loro percorso inverso, da uomo ad animale e viceversa). Lo stile del regista si evolve di opera in opera e questa volta è aiutato da una fotografia anch’essa magistrale, che ritrae una Hong Kong mai così cupa e livida, perennemente immersa in toni marroni e bluastri, trasformata in una sorta di enorme baraccopoli che meriterebbe di essere elevata al ruolo di terza protagonista: menzione d’onore per i fari ed i lampioni disseminati tra le vie della città, costantemente accesi e filtrati tanto da apparire simili a piccole stelle. Le parti ambientate in Cambogia non sono da meno, con le loro tinte giallognole e verdastre, quasi a conferirgli il respiro di un’atmosfera malinconica e lontana, perfetta rappresentazione di un ideale luogo di fuga. Le musiche completano il sublime quadro audiovisivo con una scelta delle canzoni azzeccatissima nella prima parte, finanche grottescamente fuori luogo - nell’accezione più positiva del termine - nella seconda.

Dog Bite Dog è un’esperienza dal quale si esce inevitabilmente provati, un film potentissimo che sfianca con il suo devastante nichilismo chiunque provi ad avvicinarsene, una costola di cinema hongkonghese degli anni 80 sparata a tutta velocità in un 2006 che non ha più paura dell’handover ma solo un grande coraggio e tanta voglia di fare (vero) cinema. E un elogio particolare va a Szeto Kam-yuen, che con il suo script traccia con solidità ed esperienza l’ennesima parabola nera di un universo immaginario avvolto da un’ineluttabile aura di pessimismo globale. Soi Cheang se ne sta lì, buono buono, davanti al cancello dell’olimpo dei più grandi: il passo per entrarvi è ormai breve. Insieme ad Exiled di Johnnie To, il film hongkonghese dell’anno.