Exodus

Voto dell'autore: 4/5

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ExodusPercorso pericolosissimo quello intrapreso da Pang Ho-cheung che in poco più di cinque anni è partito da rutilanti commedie inventive e frenetiche proseguendo sempre più verso un raffinamento di stile, un’economia della messa in scena e una complessità visiva ardita nella composizione del quadro. Tanti colleghi che hanno seguito questa strada hanno finito per subordinare la narrazione all’estetica in una deriva arty che ha fatto perdere loro anche il contatto con il pubblico. I parallelismi con Wong Kar-wai (v. rece di Beyond our Ken) quindi sono sempre più giustificati. Inoltre Pang nella composizione del quadro e degli elementi che lo compongono è giunto ad una resa assai vicina a degli altri Pang, ovvero il duo di fratelli hongkonghesi/thailandesi firmatari della saga di The Eye. I due (Oxide e Danny) però trasportano nel vagone della composizione anche un accumulo di quadri, mentre Ho-cheung tende al risparmio. Nel film viene quasi stipulata una scommessa con sé stesso nel riuscire a risolvere ogni scena con non più di due inquadrature. Fortunatamente in questo modo (comunque il regista nasce come visionario “ricco”) ogni composizione è pregna e ricca di informazioni visive che compensano all’economia delle inquadrature, riuscendo nel miracolo di non fare mai calare il ritmo. Quindi –come direbbero nel film L’Odio- “fin qui tutto bene”. Exodus è sorprendente e probabilmente uno dei lavori più interessanti dell’anno, prodotti nell’ex colonia inglese.
Come diretto risultato del precedente Beyond our Ken, dopo uno straordinario inizio che si muove come l’intro di Arancia Meccanica, Pang ci racconta di nuovo del delicato rapporto tra uomo e donna, con un pretesto fin troppo forzato ma giustificato successivamente; l’ispettore interpretato da Simon Yam interroga un uomo (Nick Cheung) arrestato per avere ripreso con una videocamera delle ragazze in una toilette. L’apparentemente delirante scusa dell’uomo è di avere scoperto un complotto di una setta di donne che ambiscono allo sterminio degli uomini. La notizia lascia insensibile il poliziotto fino a quando l’uomo ritratta la sua deposizione, ammettendo di essere un voyeur, dopo la visita in cella di una superiore in divisa (Maggie Siu Mei Kei). Il poliziotto inizia ad indagare.
Niente più che una puntata de Ai Confini della Realtà che magicamente il regista riesce a trasformare in un prodotto intenso e rigoroso che perde leggermente il mordente solo sul finale, sbilanciato nel grottesco. La sceneggiatura farcisce il film di dialoghi femminili così sciocchi ad un occhio maschile (fosse solo quello del protagonista) ma così veri da trasformarsi nel contesto della storia in iperrealismo surreale. Una semplice attività femminile come l’aerobica muta visivamente così di senso in un complotto funereo di stampo militare pari alla pianificazione oscura di un attacco alieno.
Le musiche acclamate da più parti sono dell’italiano Gabriele Roberto, solenni, complesse, anche se il regista tende nel corso del film ad abusarne, in continuità, locazione e resa.