Fireflies in the Sun

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Nel 2019 esce nelle sale cinesi Sheep Without a Shepherd, riscuotendo un discreto e meritato successo. Trattasi di remake di un ottimo film indiano (Drishyam) riproposto in maniera originale e citazionista (v. recensione). Un interessante sequel di quest'ultimo è uscito a febbraio 2021, intitolato ovviamente Drishyam 2, proprio nel periodo in cui veniva annunciato il sequel del remake, Sheep Without a Shepherd 2 che sarebbe poi uscito il 17 dicembre dello stesso anno.

Attenzione che adesso la questione si complica.

Nel sequel in questione viene confermato lo stesso cast, nei rispettivi ruoli al quale vengono aggiunte altre star locali tra cui Simon Yam (Exiled, Full Contact...) e Aarif Rahman (Cold War, Kung Fu Yoga...). A ridosso dell'uscita, il film muta il titolo internazionale (ma non quello locale) in Fireflies in the Sun e viene rivelato come in realtà non si tratti di un sequel ma di un remake del film statunitense del 2002 John Q, di Nick Cassavetes.

E questa rivelazione è estremamente inusuale tale da -potenzialmente- costruire una sorta di saga di remake slegati tra loro ma interpretati da uno stesso cast in ruoli fissi e medesimi contesti geografici. Un qualcosa di assurdamente folle e innovativo ma che lascia confusi.

Anche perché ci si trova di fronte ad una sorta di filologia e continuità totalmente delirante; ad esempio anche questo film, come il precedente, è ambientato in Thailandia. Ma non potendo andare a girare in loco, a causa della pandemia del covid-19, si è deciso di ricostruire in studio, in Cina, un'intero isolato thailandese. Senza una sensata logica coerente, visto che l'ambientazione in realtà non influisce praticamente su nulla.

Coerente è anche la scelta di una sceneggiatura profondamente articolata che regala un prodotto teso come il precedente. Certo,  Sheep Without a Shepherd era sicuramente un prodotto migliore, ma questo strano secondo capitolo si rivela comunque un prodotto dignitoso e “funzionante”, che ha incassato quasi come il gemello (circa 200 milioni di dollari, il doppio di John Q) con un buon debutto al botteghino. 

Rispetto al pioniere statunitense, questa versione si rivela all'altezza, molto più articolata e complessa narrativamente, interamente costruita a blocchi scomposti e con una certa pertinenza nella tensione. Aggiunge, amplia, stratifica e somma complessità, ammorbidisce la "classica" retorica spettacolarizzata statunitense per creare un prodotto più perturbante e funesto, intimo. Calca la mano -di nuovo- sulle ingiustizie del potere e sull'impunità dei potenti. Ovvio, per concorrere con il cast dell'originale che vantava dei buoni attori (Denzel Washington, James Woods, Ray Liotta e Robert Duvall) deve rialzare la posta in gioco e aggiungere ingredienti alla miscela di  Sheep Without a Shepherd.

Xiao Yang si rivela ormai attore di discreta caratura, ma il carisma di Simon Yam (new entry di questo “secondo capitolo”) come al solito riesce a mangiarsi tutti i colleghi mentre la regia epica e chiassosa, pur nel suo tatto intimo, avvolge la narrazione con polso, talento e una elaborata capacità di raccontare. Siamo fortemente curiosi se questa “epopea” andrà ancora avanti, in questa forma.