Funuke, Show Some Love you Losers!

Voto dell'autore: 4/5

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FunukeL’antefatto di Funuke ci colloca subito nei paraggi della commedia nera. L’opera prima di Yoshida Daihachi, ispirata al romanzo di Motoya Yukiko esordisce in una splendida giornata di sole di una magnifica zona rurale in piena estate.

Una ragazza sta aspettando il bus, la strada è un nastro grigio d’asfalto che si snoda in mezzo ai prati verdi ed è ancora vuota. Sulla carreggiata, un gatto nero. La corriera che sopraggiunge cerca di schivarlo, uscendo di strada, il gatto lascia della strisce rosse di carne e sangue sulla strada grigia vuota.
La ragazza è la liceale Wago Kiyomi e i suoi  genitori sono morti nell’incidente. Per il funerale la famiglia intera si riunisce. Kiyomi vive col fratello Shinji e la moglie dolcemente svagata, che lui maltratta senza che lei reagisca. Arriva da Tokyo anche la sorella maggiore Sumika (Sato Eriko), attrice bellissima.
A poco a poco si svelano i retroscena terribili del rapporto tra i tre fratelli Wago. Sumika è andata via di casa, senza il consenso del padre, che ha quasi cercato di uccidere, e dopo aver sedotto Shinji si è prostituita per racimolare la somma necessaria a fuggire in città. Kiyomi, appena quattordicenne, ha visto tutto, ha creato un manga sulla storia della malvagia sorella, vincendo anche un premio e rovinandone la reputazione nel piccolo villaggio. Kiyomi spia tutto quello che accade e possiede un talento straordinario, non meno della cattiveria della sorella, per trasferire sulla pagina la vita reale e le tragedie che la circondano. La meschinità e la mancanza di remore di Sumika diventano nutrimento e ispirazione per la matita di Kiyomi, che non può trattenersi dal disegnare. Kiyomi non è meno colpevole della sorella maggiore, e sopporta remissiva e docile le angherie di Sumika, che sta quasi per ucciderla con un bagno bollente e la costringe a recitare di fronte a parenti e amici le sue lodi fino allo sfinimento. Il lato sicuramente più interessante però del film è che la vicenda di conflitti familiari è arricchita dal contrasto tra due ambienti, uno concreto ben descritto, quella del pacifico e quieto paesino rurale e quello della grande città solo suggerito attraverso i flashback e le lettere al regista scritte da Sumika. Il regista crea un efficace contrapposizione tra l’apparenza placida e splendida della campagna e i marci e riprovevoli retroscena che in questa realtà, che dovrebbe essere rassicurante, si celano.

Spettacolare e un po’ troppo calcato e ad effetto in alcuni momenti, il film si snoda comunque con padronanza, e definisce comunque in modo adeguato le psicologie e i temi che affronta.