Gameboy Kids

Voto dell'autore: 3/5

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Gameboy KidsIn stile con altre produzioni della Team Works (come Saviour of the Soul), la casa di produzione di Andy Lau, Gameboy Kids è uno dei tanti film fatti ad Hong Kong tra gli anni ’80 e ’90, quei film scombinati  e folli, sovente pasticciati all’inverosimile, ma che spesso hanno fatto il nome e la gloria del cinema dell’ex colonia. Non che questo filmetto sia particolarmente degno di nota, tutt’altro, la sceneggiatura è così approssimativa che sembra scritta direttamente sul set e/o improvvisata. Al contempo non brilla per una regia particolarmente ispirata nonostante sia in mano ad uno dei grandi registi action di Hong Kong, Gordon Chan. Il film serve quindi come metro di giudizio, come sfigmomanometro per paragonare, analizzare e fare tutto un gioco di collegamenti e rimandi per tastare altri film, magari più riusciti, di rimbalzo su questo. Ad esempio, l’inizio del film è praticamente identico a quello di When Fortune Smiles, ma  stavolta il boss a morire è nientemeno che Jeff Lau e lo scambio di  persona anziché con Sandra Ng (che comunque recita anche in questo film) è con Andy Lau che interpreta al contempo un ritardato infantile, un nano e sul finale un altro personaggio a sorpresa. Andy Lau è fastidioso come spesso accadeva all'epoca (tipo in Gun & Rose) e interpreta una sorta di autistico residuo del Rain Man made in USA. Sandra Ng continua a subire in eterno, ruoli identici, ossia la goffa e brutta chiattona arrapata, dimenticando le immense potenzialità recitative (Golden Chicken docet). Sorpresa tra le sorprese è invece Ng Man Tat (Shaolin Soccer, King of Comedy) che esplosivo come non mai è un vero fiume in piena, funambolico, istrionico, irresistibile. Che Stephen Chow lo usi come spalla solo per tenerlo a bada? Credo che lasciato a briglia sciolta (come immagino accada in questo film tanto è esile la sceneggiatura) possa davvero illuminare lo schermo e incrinare la resistenza dello spettatore con la sua innata comicità. Segue a ruota un Aaron Kwok che sembra prelevato direttamente dai grandi magazzini dell’Harbor City e una Rosamund Kwan raramente così sexy, mentre sullo sfondo aleggia una bellissima Shirley Gwan Suet Lai che già nel bruttarello Saviour of the Soul II bucava lo schermo superando tutti in carisma.
Morto il boss, tutto il suo patrimonio va ad un figlio lontano. Nessuno sa però che il figlio è nano (Andy Lau) e che all’aereoporto ha un sosia ritardato (ancora Andy Lau)  che per uno strano scherzo di passaporti piomba ad Hong Kong. L’infantile giovanotto si ritrova così catapultato nel bel mezzo di violente faide per l’eredità, tra giochi letali, boss, serate di gala e sequenze violente che lui rigetta interessato solo ai giocattoli. Si innamora della figlia del boss rivale (Rosamund Kwan) e va incontro, dopo decine di gag poco fortunate, ad uno scontro contro la propria nemesi.
Su questo fiume di ironia grassa alla cantonese, raramente fragorosa, si giunge al classico duello finale, parodia evidente dell’heroic bloodshed e dell’estetica coniata da John Woo in un frullatore dal puerile sapore circense. Qui finalmente si raggiunge anche il perfetto equilibrio tra azione e commedia. Il climax è raggiunto in  una scena in cui i due amanti sfrecciano per la villa, set dell’azione, cavalcando un’enorme orca gonfiabile sparando a destra e manca contro gli avversari. E come non citare i nemici che smettono di sparare e –estasiati- iniziano ad applaudire i virtuosismi atletici e balistici dei protagonisti? Infine è d’obbligo citare l’imitazione che Ng Man Tat fa del Chow Yun-fat di A Better Tomorrow, entrando nella stanza al ralenti e scaricando un vortice di proiettili da due pistole, lanciandole in aria e riacchiappandole al volo in posizione plastica. Finiti i colpi si rende conto di non avere colpito nessuno. Rimane così un film estremamente esile, da usare come digestivo dopo altre visioni più caloriche e cercando di arrivare alla comunque esilarante sequenza finale che vale l’intera visione.