Fūon

Voto dell'autore: 4/5

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Secondo film della retrospettiva Incursioni nel fantastico – Presente e passato del cinema giapponese ad essere programmato a Roma, presso l’Istituto Giapponese di Cultura nel 2025, Fûon (Il Pianto del Vento, 2004) di Higashi Yōichi ha un piccolo primato da poter vantare con fierezza: in ordine cronologico è infatti la prima di ben quattro opere cinematografiche proiettate, nel corso della rassegna, in 16mm.

Perdonateci un po’ di emozione. Ma per chi ancora oggi ama la pellicola incontrare di nuovo lo storico proiezionista Giorgio Simoni e scoprire il film in questo formato non è roba da poco. Un gran bel film, per giunta…

Higashi Yōichi non è forse tra i cineasti più noti, qui da noi, ma i motivi per ricordarlo sono invece molteplici: da Village of Dreams (Eno nakano bokuno mura), che nel 1996 gli valse un Orso d’Argento a Berlino, fino al più recente Wandering Home (Yoi ga sametara, uchi ni kaerô, 2010), con il grande Asano Tadanobu tra i protagonisti.

In compenso Il Pianto del Vento non è certo il film della rassegna in cui il rapporto con la dimensione fantastica risulta con maggior evidenza, attestandosi più che altro a livello di suggestione. Lirico, enigmatico, malinconico, a tratti leggermente surreale, il lungometraggio in questione segue le traiettorie di diversi personaggi, evidenziando una certa, apprezzabile coralità.

L’epicentro del racconto ha poi un ché di “esotico”, trattandosi di una piccola isola accanto alla remota Okinawa. Il luogo custodisce memorie della Seconda Guerra Mondiale. E una di esse, rimasta da tempo immemore tra le rocce della spiaggetta locale, è il veicolo dell’unica componente realmente “misterica”: il teschio di un kamikaze morto in battaglia, attraverso il quale un vento misterioso che batte l’isola crea a volte nenie inquietanti, passando attraverso il foro del proiettile che gli tolse la vita. Quasi fosse il lamento del soldato caduto.

Un po’ come nel recente, meraviglioso The Eternal Zero (Eien no Zero, 2013) di Yamazaki Takashi, la detection che si svolge in flashback farà emergere poco alla volta la vera storia di quell’uomo, del kamikaze, tracciando anche collegamenti intensi e struggenti con il presente.

Ma intanto quel povero cranio abbandonato lungo la costa è il feticcio intorno al quale continuano a svilupparsi racconti popolari, leggende, singolari “riti di passaggio” per la gioventù locale; ma è anche un piccolo catalizzatore di storie ancora da compiersi, tra cui spicca quella di Kazue, giovane e ammiratissima mamma scappata col figlioletto Masashi sull’isola, proprio per sottrarsi alle attenzioni di un marito violento.

Pure la loro sofferta, traumatica storia famigliare finirà per indirizzarsi, all’ombra del teschio sibilante, verso una catartico e risolutivo epilogo.