La Principessa del Monte Ledang

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La Principessa del Monte LedangLa Mostra del Cinema di Venezia aveva già stupito gli appassionati d’oriente con la presentazione di un film del Bhutan, l’apprezzato Maghi e Viaggiatori. Nel 2004, forse per bissare la scelta di una terra mai prima “cinematograficamente conosciuta”, o forse perché il film aveva tutte le qualità per essere presentato nella sezione Orizzonti, nel palinsesto è apparso un film malese. La Malesia, terra comunemente abbinata all’idea di viaggi esotici, più che a quella di cinema, ha portato in occidente il suo primo colossal, realizzato anche con coproduzioni estere, dove gli effetti speciali sono stati sfruttati per rendere più realistica questa vera e propria fiaba.

Siamo attorno al 1400 e, tra il regno di Majapahit e quello di Demak non vi è pace. Il regno di Demak è, infatti, intento ad attaccare l’altro regno, più debole, poiché gli è stato mancato di rispetto. Il sovrano del regno in pericolo, sapendo di avere come possibilità di salvezza solo un’alleanza con il grande sultanato di Melaka, promette sua sorella, la principessa Gusti Putri, come seconda moglie del sultano. Ma la questione non è semplice perché Gusti Putri è già innamorata e stretta da una promessa all’ammiraglio del sultano, Hang Tuah. Per cui lei si ritira sul Monte Ledang, a meditare e purificarsi, in attesa del futuro, ma soprattutto pronta ad imporre la sua volontà, andando contro a qualsiasi logica sovranocentrica e patriarcale. Ed è lì che attenderà come promesso l’Ammiraglio, vivendo più di ricordi che un amore nel presente.

Puteri Gunung Ledang è incantevole. Crediamo sia l’unico termine adatto a descrivere questo film. Non si può analizzare con i classici strumenti, non bisogna fare commenti negativi su degli effetti speciali che a volte appaiono “sovradosati”, né tantomeno su una storia con tanti personaggi che “compaiono” più che svilupparsi in modo completo. Non bisogna valutarlo in questo modo perché è una fiaba. Bisogna guardarlo con occhi candidi, commuoversi all’amore forse impossibile tra una principessa e un subordinato e stupirsi degli ambienti nei quali si svolge, nelle foreste e nelle maestose residenze. È un film che ci fa conoscere realtà che in altro modo non avremmo mai affrontato, che ci parla di regni buddhisti che combattono o si alleano con sultanati musulmani, ci parla di avidità di sovrani e di mancanza di rispetto, di devozione dei servi e di legami che vanno al di là del mondo terreno. Soprattutto ci parla di bisogno di amore, non un amore disperato, ma dell’amore fatto di equilibrio tra il desiderio e il razionale, un amore che la principessa, nella sua grandiosa bellezza e saggezza innalza a livello quasi divino. È un film che piace perché è “puro”. La tradizione emerge, infatti, in ogni scena, e nulla sembra rovinato dal cinema estero, se non, forse, in un paio di duelli, che si rifanno chiaramente ai wuxia hongkonghesi, con tanto di lotta su canne palustri e salti volanti. Per fortuna, poi, l’amore è tutta seduzione, non è scontato, nè tantomeno esplicitato visivamente. Non vi è un solo bacio in tutto il film e il legame tra la principessa e l’Ammiraglio, similmente alla tradizione cinematografica indiana, è esplicitato dalla danza: lei balla solo per lui, circondata da drappi bianchi e petali di rosa mentre lui si unisce a lei nella danza. Per chi cerca emozioni forti forse è meglio evitare questo film, perché, probabilmente, le due ore di durata, scoraggerebbero la propria resistenza. Ma chi invece ama le atmosfere sospese e soprattutto ha ancora voglia di sognare, come si fa nell’infanzia o nell’adolescenza, non può perderlo, perché il film rappresenta un vero sogno su grande schermo.