Monster SeaFood Wars

Voto dell'autore: 3/5
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Liberamente basato -a quanto pare- su un racconto del maestro Eiji Tsuburaya (l'effettista creatore di Godzilla e Ultraman), proposto alla Toho prima di Godzilla e mai realizzato, con un'estetica (specie nei poster e nel materiale promozionale) direttamente evocante il classico Space Amoeba (Atom, il Mostro della Galassia) di Ishiro Honda (regista del primo Godzilla), Monster SeaFood War è il nuovo film del prolifico Minoru Kawasaki.

Si parlò e parlammo molto dell'autore ai tempi della sua prima “scoperta” e rivelazione, nei primi anni del 2000, quando la coerenza del suo universo creativo giunse sobriamente anche in occidente; The Calamari Wrestler, Pussy Soup, Executive Koala e infine la sorprendente presenza veneziana (ennesima folgorante azione della presidenza Muller) di The Monster X Strikes Back: Attack the G8 Summit, delirante kaiju movie con la presenza del maestro Takeshi Kitano nei panni di una divinità salvifica.

E sono le figure “mostruose” di alcuni suoi classici più noti, principalmente The Calamari Wrestler (da cui arrivano il polipo rosso e la calamaretta rosa) e Crab Goalkeeper (da cui giunge il granchio) ad essere le creature destinate a battersi tra i palazzi della città (certo, con un palese restyling dei costumi palesemente esplicito negli “occhi”) e prontamente rinominate Takolla, Ikalla e Kanilla.

Non si ferma qui però l'ingegno del regista ma punta ad uno step ulteriore, ad una ricerca fortunatamente mai doma di idee e innovazione; Monster SeaFood War, come intuibile dal titolo, è probabilmente il primo film di mostri giganti della storia a inserire la componente gastronomica. O almeno è quello che focalizza di più sul tema e a cui offre i maggiori spunti narrativi.

Narrata infatti è un'invenzione atta a ingigantire a dismisura gli animali ai fini di sopperire alla fame nel mondo; tre di questi sfuggono al controllo e iniziano il classico incontro di wrestling sopra la città. A fermarli una sorta di cuoco-mech (Jumbo Cook) che trasformerà lo stadio in un abnorme piatto di frutti di mare.

Un'intera sezione del film è proprio basata sullo stile dei programmi di cucina con interviste e dialoghi sul come cucinare dei kaiju e sulla loro inenarrabile bontà. Ma è l'intero film ad essere spesso costruito con immagini di repertorio, interviste e una pluralità di punti di vista che fatti i debitissimi paragoni può evocare lo stile adottato nell'ultimo, al momento dell'uscita di questo film, Shin Godzilla.

L'aspetto globale rientra perfettamente nell'estetica ed etica di una serie tv tokusatsu con l'associazione atta a combattere le creature con cannoni armati ad aceto di riso, la SMAT (Seafood Monster Attack Team) e attori provenienti da esperienze affini, da Keisuke Ueda di Kamen Rider Wizard al talentuoso Ryo Kinomoto che arriva invece dalla saga di Ultraman.

Kawasaki continua a girare colossal con i budget di un cortometraggio economico, ma ormai ci sembra l'unica scelta possibile. Impensabile realizzare un film del genere con un budget medio che ne aumenterebbe la robustezza produttiva e visiva ma che farebbe cozzare ancora di più l'inadeguatezza dell'effettistica. O un budget e una resa hollywoodiana quindi, o questo, “poetico”.

Si, perché la confezione patinata dei grandi colossal probabilmente andrebbe a scontrarsi con il candore romantico di feticistica passione verso il character design delle creature, con la visione coerente e naif delle tute in gomma, dei modellini, delle esplosioni.

Attenzione, non c'è la volontà di produrre un qualcosa di volutamente sopra le righe, la citazione sardonica e borghese dei mezzi che furono, come spesso siamo stati costretti a vedere in occidente.

Quella di Kawasaki è una onesta, rispettosa e coerente dichiarazione d'amore ad un universo che adotta visceralmente e che si palesa con lo stesso risultato indipendentemente dal budget a disposizione (certo quando ne ha avuto uno più robusto magari la resa visiva era più “nobile”, ma tant'è). Ecco che Kawasaki si rivela come una creatura in via d'estinzione da proteggere e difendere, un tenace persecutore di una poetica che porta avanti, irresponsabilmente e con continuità, da decenni contro tutto e tutti.

A voler trovare un corrispettivo di tanta passione e continuità si può cercare sempre e solo in Giappone nella figura di Takao Nakano, ma rispetto a quest'ultimo Kawasaki ha una mano più robusta nel campo della regia.

Due appassionati artigiani, autori con un universo personale unico e macroscopicamente riconoscibile, custodi di un'idea di cinema unica, rarissima e sempre meno presente.