Nameless Gangster

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NamelessGangster13 ottobre 1990: il presidente Roh Tae-woo dichiara guerra aperta al crimine organizzato coreano che negli anni passati ha accumulato grande potere espandendo la sua influenza nel mondo politico e in quello degli affari. La nuova politica del pugno di ferro porta all’arresto di migliaia di gangster. Tra questi c’è Choi Ik- hyun, un uomo comune al di sopra di ogni sospetto, divenuto una figura di spicco nel sottobosco della criminalità organizzata. Adesso Choi è rinchiuso in una cella, messo sotto torchio da un Pubblico Ministero deciso ad usarlo per incastrare gli altri membri della sua organizzazione.
1982: Choi Ik-hyun è un tranquillo funzionario della dogana che cerca come può di mantenere la sua famiglia, anche se questo significa intascare qualche mazzetta. Un giorno si trova tra le mani una partita di eroina e decide di rivenderla ad un gangster locale, Choi Hyung-bae che ha conosciuto tramite un collega. L’affare va in porto, ma è quando i due scoprono di essere parenti che decidono di mettersi in società. Nel corso degli anni i due scaleranno la gerarchia criminale di Busan, uniti da una sincera amicizia che però verrà messa a dura prova dagli eventi del 1990.

Quello dell’epopea criminale è un genere diffuso a tutte le latitudini come il crimine stesso del resto. Non c’è cinematografia che non abbia avuto la sua saga criminosa a raccontare storie di amicizia, fedeltà e tradimenti ma anche i cambiamenti che negli anni hanno attraversato quelle società: Nameless Gangster non fa eccezione.
Il film si regge tutto sulle performance attoriali dei due protagonisti, in particolare quella di Choi Min-shik, che per il ruolo di Choi Ik-hyun è dovuto ingrassare di ben dieci chili. Il suo personaggio è lontanissimo dai giovani criminali arrivisti a cui tanti noir ci hanno abituato: Choi Ik-hyun è un frustrato che nel crimine vede la possibilità di una rivalsa sociale, uno status che gli permette addirittura di pestare il suo superiore davanti a tutti per rifarsi di anni di vessazioni sul lavoro. Choi si muove a suo agio nel mondo della criminalità organizzata ma agisce sempre dietro le quinte, stringendo contatti importanti e andando a caccia di affari. Sarà pure un gangster ma le sue ambizioni, come i suoi metodi, sono ancora quelle da piccolo borghese: comprare una bella casa e una bella auto, dare un futuro roseo ai figli. Choi arriverà perfino a sistemare suo cognato come guardia del corpo personale. È un personaggio scisso e ambivalente, simpatico e inoffensivo ma soggetto ad improvvisi scatti di violenza, manipolatore ma manipolabile a sua volta, arrivista ma assai ingenuo.
Dove Choi Ik-hyun non può competere è quel lato del mondo dei gangster fatto di forza bruta e violenza, un mondo che l’amico Choi Hyung-bae (Ha Jung-woom, attore feticcio del regista) invece conosce molto bene: gangster navigato, ex detenuto nei campi di rieducazione, disilluso nei confronti dei rapporti umani trova nell’amico un compagno di cui finalmente si può fidare. Ma i loro concetti di fiducia e fedeltà non possono coesistere per sempre: l’opportunismo di Choi Ik-hyun,che non esita a cercare accordi con i gangster rivali, alimenta la paura mai sopita del tradimento in Choi Hyung-bae, ancora legato ad una mentalità e ad un mondo distanti da quello dell’ex funzionario.
La sinergia tra i due personaggi, che attraversano i retroscena della Corea degli anni 80 all’indomani della transizione democratica, costituisce la parte migliore del film che fa dimenticare in parte diversi difetti in fase di regia e sceneggiatura.
La struttura narrativa non lineare, che alterna passato e presente, non sempre funziona a dovere e la tendenza della regia all’ellissi lascia spesso fuori dallo schermo elementi importanti per la comprensione della vicenda. In generale le sezioni narrative nel 1990 sono molto meno interessanti e coinvolgenti rispetto ai flashback: il regista Yun Jong-bin si dimostra più abile nel tratteggiare i personaggi e i loro rapporti che non portare in scena il convulso intrigo di doppi giochi che caratterizza la parte finale del film. Una struttura più lineare e omogenea insieme ad una regia più attenta avrebbe giovato alla riuscita complessiva del film.
Nonostante i difetti formali Nameless Gangster merita di essere visto per la grande performance attoriale di Choi Min-shik, per lo spaccato che dà della società coreana di quegli anni, e per una scorrettezza politica di fondo che trova il suo punto più alto nel sarcastico finale.