Night in Paradise

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Il Festival del Cinema di Venezia scopre il talento di Park Hoon-jung con 10 anni di ritardo. E con il suo film peggiore. Che ovviamente finisce su Netflix.

Night in Paradise è il ritorno del regista al noir d’azione “verosimile” nel quale ha donato le sue prove migliori, con il memorabile New World, con l’imperfetto ma efficacissimo V.I.P. e con la sceneggiatura di I Saw the Devil (di Kim Jee-woon). Ed è proprio la sceneggiatura, l’arte che ha reso Park Hoon-jung uno dei nomi più interessanti del presente, inventivo, liberissimo e articolato. Negli ultimi 10 anni ha alternato un noir e un film di altra tipologia (un’action di avventura con The Tiger: An Old Hunter’s Tale (2015), un action sci-fi con The Witch: Part 1. The Subversion (2018)) in una costante crescita e affermazione.

Poi qualcosa è andato storto. Night in Paradise conferma una regia di polso e sentita ma poggia su una drammaturgia disastrosa, imperdonabile per quello che si era mostrato come uno dei migliori sceneggiatori del presente.

La storia in sé è banale, abusata, di maniera, avvicenda personaggi macchiettistici oltre il sottile equilibrio fin qui mantenuto e anche gli attori non sono ai livelli di tante prove memorabili del passato.  Park Hoon-jung è un altro di quelli che si trovano a proprio agio con personaggi e attrici femminili. Quando deve invece dirigere uomini, o ha dalla sua star del calibro di Choi Min-shik (come in New World e in The Tiger: An Old Hunter’s Tale) e allora tutto scorre per il meglio o come in questo caso si trova un Uhm Tae-goo totalmente fuori ruolo e Cha Seung-won quasi insopportabile nei suoi infiniti cliché sopra le righe in perpetuum.

L’evoluzione dei personaggi sulla lunga durata non è convincente e accelera inspiegabilmente sul breve termine risultando così priva di mordente, e tutta la vendetta finale è evocata con una sezione di atrocità totalmente gratuite e quasi ridicole nella puerilità della costruzione.

Del film ne sembrano scritti con competenza circa 10 minuti, quelli più intimi nel confronto verboso tra il protagonista e il bel personaggio interpretato da Jeon Yeo-been (che in realtà è l’unico personaggio curato del film). E tutte le svolte narrative sono frettolose, inspiegabili, forzate, infantili, grossolane e viene a mancare totalmente la grazia e il rigore che avevano retto l’equilibrio delle precedenti opere del regista. Anche quando gioca una carta estremamente riuscita (ad esempio il tormentone nello scambio verbale tra i due protagonisti) lo reitera senza regola e senza il minimo tatto della suggestione e del non detto, tale da sembrare un film scritto da un’altra persona.

Seppur pregiato da qualche ottima nota, e da un paio di sequenze d’azione che in sé lasciano il segno, Park Hoon-jung perde su quello che era il suo pregio maggiore ad oggi. E visto il perpetrarsi contemporaneo di una attenzione sempre più scarsa nei confronti di una drammaturgia competente questa sconfitta è ancora più dolorosa.

Per chi invece si accontenta di emozioni “facili” e di buone sequenze d’azione, il film risulta una visione di buon intrattenimento.