No One's Ark

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No One's ArkEsemplare come al secondo film Yamashita possedesse già una poetica così marcata e riconoscibile, anni prima del suo proverbiale successo Linda Linda Linda. No One’s Ark è uno di quei nuovi film, figli degli insegnamenti della Osaka University of Art, scuola che negli ultimi anni ha prodotto alcuni dei più interessanti personaggi del cinema locale. Come in molte facoltà anche europee i corsi premono per creare gruppi di lavoro favorendo l’applicazione in campi ben precisi e distinti creando gruppi autonomi capaci di curare in toto la produzione di un film (tant’è che l’ottima sceneggiatura di Mukai Kosuke tiene da sola in piedi mezzo film). La regia di Yamashita infatti è classica e pacata, introspettiva ma fortunatamente mai noiosa grazie anche ad una capacità di riempire l’inquadratura e veicolare lo sguardo nel campo. Gli attori, volti nuovi e “normali” alle prime esperienze conferiscono una straordinaria freschezza e un assoluto coinvolgimento. Rispetto a Linda Linda Linda però manca lo spirito pop e la spensieratezza ideale e nostalgica, mentre subentra in maniera più schiacciante il dramma e la cupezza disperata, anche se il tocco surreale e sapienti sferzate di ironia permeano interamente l’opera.
In maniera glacialmente matura, il regista racconta l’individuo e le sue missioni morali suicide, l’idealismo romantico e immaturo, il tempo perduto, e la nostalgia della città rurale contrapposta alla frenesia urbana.

Daisuke (Hiroshi Yamamoto) e Hisako (Kotera Tomoko) sono una coppia che in una frenetica Tokyo cercano di vendere per strada l’Akajiru, una disgustosa bevanda proteica. Il fallimento della missione unita ad un debito economico porta il duo nella cittadina natale di provincia di lui, dove si trova a fare fronte ai vecchi amici, alle vecchie amanti, alla famiglia, al disincanto e ad una realtà che vuole essere più dura dell’ideale e romantico mondo dei sogni che affolla la mente di Daisuke. La sua reazione ad una vita che lo vuole maturo e omologato sarà la trasgressione (prevalentemente sentimentale), fino allo scontro assoluto con la realtà. Ma lo “scontro” non significa necessariamente “resa”.

Un film intimo e commovente, coinvolgente, colpito da svolte surreali (Daisuke che colto in una situazione imbarazzante si “sgonfia” come un palloncino, o Hisako che cade in un tombino) che lo rendono un’opera piacevolissima, da vedere, fosse anche solo per gustare l’evoluzione di uno dei registi giapponesi più interessanti sulla piazza.