Pulgasari

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A volte capita di voler scoprire cinematografie nuove, diverse, in grado di comunicarci qualcosa di insolito a cui non siamo abituati, oppure semplicemente per andare in cerca di novità. Pulgasari allora, film nordcoreano del 1985 diretto dal celebre Shin Sang-ok e da Gon-jo, può essere una di quelle occasioni per respirare un po’ di aria fresca.

Partiamo con qualche informazione. La parola “pulgasari” in coreano vuol dire stella marina, ma in questo caso fa riferimento a un’antica leggenda popolare che riguarda un mostro. Ebbene sì, proprio un mostro, di enorme portata e con potere distruttivo. Non è un caso infatti che questo film sia considerato la controparte nordcoreana di Godzilla.

All’epoca Kim Jong-il, amante del cinema e padre dell’attuale Kim Jong-un, era un patito del suddetto kaiju nipponico e decise di volerne produrre una propria versione in patria. E a chi affidare questo progetto? Ovviamente al migliore regista in circolazione dell’epoca, il sudcoreano Shin Sang-ok, che aveva rapito per fare cinema. In più, come ciliegina sulla torta, decise di far interpretare il mostro dallo stesso attore giapponese che aveva preso le vesti di Godzilla, Kenpachiro Satsuma, ottenendo così una collaborazione con la casa di produzione Toho.

La trama dell’opera non è poi così tanto singolare. Come detto prima si ispira alla leggenda di un mostro, e narra la storia di Inde, uomo che per abbigliamento e capigliatura ricorda Rambo, Ami, dolce e giovana ragazza che si dimostrerà pronto a tutto, e suo padre, capo del villaggio. Lo sfondo in cui ci si trova è la Corea del periodo Goryeo (918-1392), paese monarchico gestito da sovrani e governatori maligni, i quali si curano ben poco del popolo. Dato il vile comportamento di chi regna, Inde diviene il capo di un gruppo di banditi, il quale avrà lo scopo di rivoluzionare il regime. Anche il capo villaggio si unisce alla rivolta, in particolare dopo essersi indignato a causa della richiesta del governatore, il quale gli ordina di creare più  armi per il proprio esercito utilizzando anche il ferro degli utensili dei contadini. Disobbedendo dunque, viene incarcerato, e prima di morire di fame prega al cielo e alla terra di accontentare la sua ultima richiesta, ovvero dare vita al pupazzo da lui appena creato, colui che si rivelerà essere Pulgasari. La magia viene completata quando una goccia di sangue della figlia Ami cade sul manufatto, rendendolo così vivo.

Una cosa che sorprende da subito, è ciò di cui si nutre il kaiju, ovvero di ferro. E più ne mangia, più cresce. Come si può intuire, l’esercito dei ribelli potrà ora contare su una nuova arma, la quale permetterà loro di vincere le più importanti battaglie. Ma non tutto sarà rose e fiori, soprattutto il finale inaspettatto che dimostra il valore delle donne nordcoreane, e che darà una bella lezione ai contadini per aver abusato troppo di Pulgasari.

Se la storia della pellicola non è tanto esaltante, lo stesso non si può dire delle varie e numerose interpretazioni del film. Alcune caratteristiche sono scontate e risaltano subito all’occhio. Esempi sono i valori dei lavoratori, dei contadini, e la rivolta allo stato monarchico che sfrutta i più deboli. Tutte idee che si rifanno a quella che è la politica del regime.

Ma invece, cosa rappresenta questo mostro? Qui ci si può sbizzarrire. Potremmo dire ad esempio, che Pulgasari sia l’incarnazione del capitalismo. Adottato come nuovo stile di vita dai contadini, li ha aiutati a sconfiggere la povertà e a divenire liberi, fin quando però è diventato troppo difficile da gestire, e li ha resi schiavi del sistema stesso.

Un’altra interpretazione, che chi scrive reputa decisamente più intrigante, è che questo lontano parente di Godzilla sia l’impersonificazione stessa del regime nordcoreano. Un regime che sì, ha aiutato la popolazione in passato al liberarsi dal dominio giapponese, ma che poi ha reso il popolo suo schiavo, nutrendosi alle sue spalle.

Chissà se Shin Sang-ok non abbia voluto lasciare questo messaggio, nascosto tra le righe dell’opera.

Ritorniamo con i piedi per terra però, perché sebbene entrambe queste versioni siano accattivanti, a illuminarci sul significato del film è proprio il regista stesso. Non è la lotta di classe il centro del dibattito, bensì il nucleare. Ma più che i disastri che queste tecnologia porta, la competizione tra grandi nazioni, che sono pronte ad usare tutte le loro risorse (rappresentate dal ferro nel film), per far crescere sempre di più questa potente arma. Succede poi, che le risorse finiscono, e come ci dice la protagonista Ami, una volta che ciò accade, si rischia di invadere altri paesi, fare guerre e rovinare l’umanità.

Per la cronaca il regista afferma che nonostante la pellicola sia attribuita anche a Gon-jo, il lavoro sia completamente suo.

Pulgasari dunque, porta tanti significati. Meglio non farsi ingannare allora dai costumi, dagli effetti speciali, e dalla presenza di una musichetta elettronica anni ’80 che potrebbero lasciare il tempo che trovano.