Beauty Water

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Non siamo più negli anni ’90 quando l’Asia rimodellava in toto la concezione dell’horror “moderno” con una frequenza quasi impressionante. Ma è anche vero che ancora, di tanto in tanto, qualche oggetto interessante continua ad apparire.

E’ il caso di questo Beauty Water, che a sua volta rappresenta anche un altro segnale salutare: quella della vitalità e varietà dell’animazione asiatica che continua a proporre oggetti maturi, inventivi e originali, dalle nuove prove di forza cinesi, alla continuità qualitativa del Giappone fino appunto alla Corea che negli anni si è fatta notare con film indipendenti ed intimi come quelli di Yeon Sang-ho (The King of Pigs, The Fake), fino a prove più popolari ed euforiche, come il brillante Aachi & Ssipak.

Tratto da un webtoon ad episodi di Oh Sung-dae, Tales of the Unusual, il film narra le vicende di Yaeji, una ragazza che fin dall’infanzia ha visto la sua vita sgretolarsi per via del suo aspetto fisico non affine agli standard sociali locali, il che l’ha portata negli anni all’assunzione di cibo spazzatura e all’obesità. Il possedere come lavoro il ruolo della truccatrice, inoltre, la mette perennemente a confronto con la bellezza dello showbiz locale, alimentando ancora di più la sua depressione e rancore. Fino a che scopre Beauty Water (o meglio, Beauty Water scopre lei) ovvero una lozione che aspersa sul viso, virtualmente, dovrebbe renderlo bellissimo modellandolo come creta. In effetti il suo viso muta in quello di una bellissima idol, ma non il suo corpo che rimane “fuori formato”. Inizia qui una spirale di disperazione e annientamento al rialzo che coinvolgerà i suoi genitori, i colleghi e gli amati. 

Beauty Water analizza temi attuali e universali, ma particolarmente sentiti in Corea del Sud dove si assiste ad un numero spropositato di persone che si sottopongono a operazioni di chirurgia estetica, in percentuali sempre maggiori e con livelli record nei confronti delle ragazze sui venti anni. E il film lo affronta decisamente bene, ben delineando la spirale in cui cade la protagonista, sprofondando nel suo animo tormentato e restituendo una radiografia vivida di un attualissimo male del vivere moderno dei paesi capitalisti.

Lo fa a volte in modo sgangherato, certo, e con un resa visiva non particolarmente competitiva, sullo stile -in parte- dei già citati film di  Yeon Sang-ho. Ma non si preoccupa fortunatamente del budget e della resa stellare, ma si ostina a cercare di raccontare al meglio una storia e un concetto nel modo più efficace possibile e con i mezzi a propria disposizione; e in questo il film funziona, calando lo spettatore in un pozzo oscuro e perturbante, vivido, lucido, particolarmente sentito. Non eccede in sequenze truculente e quando ci si avvicina lo fa con stile regalando più di una volta sezioni di un’innegabile efficacia.

Il finale sopra le righe non smorza comunque il livello di tensione fin lì creatosi e i titoli di coda calano il sipario su uno degli horror più inusuali e interessanti dell’anno.